Con questo libro ho voluto raccontare una tenera storia d'amore adolescenziale che supera le barriere del tempo. Lorenzo uno dei due protagonisti è un giovane del nostro tempo appassionato di archeologia che riesce a mettersi in comunicazione con una ragazza vissuta più di tremila anni fa in un terramare che si trova vicino all'aeroporto Marconi di Bologna. A'Ster la ragazza del terramare conosce il suo tempo, ma anche il futuro dell'umanità per essere stata rigenerata dagli uomini-macchina del futuro. L'umanità così come la conosciamo è stata distrutta da una guerra batteriologica e gli uomini sono stati costretti ad incrociarsi con le macchine per sopravvivere. A'ster ha chiamato Lorenzo nel suo tempo per cercare di evitare quel susseguirsi di eventi che portano alla distruzione dell'umanità. E' un omaggio anche agli emiliani-romagnoli che affondano le radici in quei tempi lontani.
Carlo Soricelli
AMARE OLTRE LO SPAZIO- TEMPO
CAPITOLO 1
Lorenzo tornò nel terramare: c’era stato dieci anni prima, da bambino, ed era rimasto affascinato dai racconti del padre su quel luogo misterioso. Suo padre si entusiasmava per tutto ciò che riguardava il passato e gli ripeteva sempre di guardare i campi appena arati, perché potevano emergervi tracce di epoche remote. Con Lorenzo c'era Michele, che gli aveva chiesto di vedere quel luogo, incuriosito dai racconti dell’amico; quel giorno a scuola era stato indetto uno sciopero e i due studenti avevano deciso di disertare la manifestazione di piazza per andare a visitare il sito archeologico, vicino all’aeroporto di Bologna. Una volta arrivati si accorsero con stupore che sul luogo erano in corso degli scavi, lì dove a breve sarebbero sorte nuove fabbriche. Per poter dare l’autorizzazione a procedere, la Sovrintendenza voleva verificare che sotto terra non si trovassero ancora importanti reperti. Si trattava di un sito conosciuto già dall’Ottocento, ma mai portato completamente alla luce, testimonianza di un insediamento appartenente all’età del bronzo. Gli archeologi stavano lavorando dentro grandi buche scavate nel terreno; erano tutti molto giovani, tranne un uomo di circa una quarantina d’anni. Lorenzo e Michele si aggiravano curiosi tra le piccole montagne di terra depositate dalle scavatrici notando cocci di vasi sparsi un po' ovunque: probabilmente si trattava di materiali poco importanti agli occhi degli esperti, ma i due ragazzi si emozionarono pensando a quanto quei reperti fossero antichi. Ad un tratto si avvicinarono a quello che sembrava il responsabile degli scavi e Michele cominciò ad interrogarlo, chiedendogli che cosa aveva trovato, quali erano le dimensioni del sito, a quante migliaia d’anni prima risaliva. L’archeologo fu particolarmente gentile con loro, contento che due ragazzi così giovani dimostrassero interesse per il suo lavoro. Alle parole dell'archeologo, prendeva forma nella mente fantasiosa dei due ragazzi l’immagine del villaggio sull’acqua, pieno di vita e di attività. Al termine di quella mattinata, Lorenzo e Michele tornarono a casa soddisfatti per quello che avevano visto.
Il sabato successivo erano di nuovo al terramare. Sembrava una mattina invernale, anche se era solo l’inizio d’ottobre; il cielo era coperto e una leggera nebbia rendeva tutto evanescente. Le montagne di terra e le grandi buche prodotte dal lavoro delle scavatrici davano al paesaggio un aspetto misterioso ed irreale. Le strade attorno erano deserte; non un’automobile, non una persona. I due giovani si separarono, cominciando ad esplorare ognuno un punto diverso degli scavi. Lorenzo si mise a raccogliere cocci di vasi e di ciotole impastate grossolanamente: frammenti di passato, mescolati alla terra fresca. Era molto emozionato; immaginava che aspetto dovesse avere quel luogo tremila anni prima. Un frammento, probabilmente sfuggito agli archeologi lo incuriosì: su un lato era visibile una sottile incisione, l’immagine stilizzata di una figura umana, accanto ad un cerchio. Il ragazzo si chinò per afferrare il coccio, ma non appena lo strinse tra le mani avvertì un fortissimo calore, come se quel frammento fosse incandescente. Improvvisamente le sue orecchie si riempirono di suoni insoliti; una specie di nenia dolce ma incomprensibile gli penetrò la mente. Una parte di lui era irretita da quel canto, ma un’altra parte voleva allontanarsi, scappare; vide Michele, a poche decine di metri da lui, e questo lo tranquillizzò. Le voci diventavano a poco a poco sempre più chiare, sempre più vicine, sembravano levarsi dal terreno. Ad un tratto una voce femminile cominciò a sentirsi più delle altre, a diventare sempre più insistente, fino a sovrastarle tutte: lo chiamava per nome...Lorenzo…Lorenzo…gli chiese di tornare presto e da solo. Il ragazzo, impaurito, gettò a terra il coccio. Di colpo tornò il silenzio. Michele gli si avvicinò, e, vedendolo pallido, si preoccupò per lui: ma Lorenzo sentì che non doveva fare parola a nessuno di ciò che gli era accaduto. Gli rispose che aveva solo freddo e fame, e che era ora di tornare a casa. Lorenzo ripensò tutto il giorno a quel coccio, a quelle voci; forse sto impazzendo, diceva a se stesso, o forse mi sta succedendo qualcosa d’eccezionale. Nonostante la paura, la mattina dopo si alzò quando in casa ancora dormivano tutti; lasciò un biglietto a sua madre, scrivendole che doveva uscire per un allenamento con la sua squadra di calcio di cui il giorno prima si era dimenticato di avvertirla, e salì in macchina, diretto al terramare.
Arrivò che era ancora buio, e continuò a guidare per un po’, fino a quando le prime luci del mattino non resero visibili i contorni delle cose. Scese dall’automobile e camminò fino alla buca più ampia tra quelle scavate nel terreno; rimase immobile in quel punto per interminabili minuti, attento a percepire il minimo rumore. Non sentì nulla. Allora ripensò al coccio, che il giorno precedente aveva gettato a terra per lo spavento; si mise a cercarlo, e dopo una decina di minuti lo trovò. Titubante, lo raccolse: ed ecco di nuovo un inspiegabile calore, che dalla mano s’irradiò velocemente a tutto il corpo. All’improvviso, tra la nebbia, vide materializzarsi uno spettacolo incredibile: al posto della grande buca, si stendeva uno specchio d’acqua, e sull’acqua sorgeva un villaggio primitivo. Lorenzo era terrorizzato ma anche irresistibilmente attratto da quello che vedeva; la curiosità vinse la paura, e il ragazzo cominciò lentamente ad avvicinarsi al villaggio. Pensava che forse gli si stava presentando un’occasione straordinaria, quella di mettersi in contatto con esseri umani vissuti in altre epoche; forse avrebbe trovato le risposte alle tante domande sul senso della vita che ogni tanto si poneva. Poi si fermò, incantato da quello che accadeva davanti ai suoi occhi: il villaggio si era appena risvegliato. Alcuni uomini gettavano dalle loro case sull’acqua delle scalette di corda e si calavano in piccole barche di legno, grazie alle quali potevano spingersi fino alla terraferma. Ognuno stringeva tra le mani un’arma: chi una lancia, chi un lungo pugnale. Scesero dalle barche e procedettero per un centinaio di metri in fila indiana, verso il piccolo bosco che circondava lo specchio d’acqua. Un gruppetto si staccò dagli altri e si diresse verso la radura, ad est. Poco dopo, tornarono tutti verso le palafitte, emettendo una specie di sibilo, acuto e potente. Udito quel segnale, dalle capanne sull’acqua cominciarono ad uscire donne e bambini, sicuri ormai che nessun pericolo incombeva sul villaggio. In poco tempo tutto si animò. Mentre scendevano a terra era un continuo vociare, un continuo riecheggiare di nomi strani: “Saarm…Scas…Aterr!”. Ognuno sembrava impegnato a chiamare qualcun altro. Anche le donne si chiamavano tra loro: “Amin…Serto…A’ster!”. Sembravano avviarsi tutte verso la stessa direzione, e ognuna portava con sé due o tre bambini; i colori delle loro vesti erano brillanti e vivaci. Le donne e i bambini si riunirono in uno spiazzo tra le case e cominciarono a discutere tra loro, in una lingua strana e cadenzata; i bambini furono divisi in piccoli gruppi, secondo l’età, mentre continuavano a giocare animatamente. Alcune donne avevano la pelle più chiara, altre più abbronzata. Erano tutte giovanissime, e Lorenzo pensò che fossero le sorelle maggiori di quei bambini; poi capì che erano le loro madri. All’apparenza nessuna superava i diciotto anni; alcune sembravano ancora bambine. Lorenzo pensò che i primitivi erano meno longevi di noi, e che quindi ogni fase della loro vita era molto anticipata rispetto alla nostra epoca. Dopo pochi minuti le donne si sparpagliarono verso varie direzioni, alcune si avviarono verso una radura, altre verso il bosco, dove ora sorgono le fabbriche. Lorenzo si rese conto che gli abitanti del villaggio non potevano vedere l’aeroporto, le fabbriche, così come non vedevano lui: quando sembravano fissarlo, in realtà lo attraversavano con lo sguardo, come se non avesse un corpo materiale. Ai bambini più piccoli si avvicinarono gli anziani, probabilmente i nonni, rivolgendosi a loro con voci dal timbro deciso ma affettuoso; portavano un copricapo rosso fuoco, all’apparenza formato da spighe di grano colorate, forse un segno distintivo, destinato a chi aveva raggiunto un’età considerata matura. Lorenzo era stupito dalla vitalità e dall’energia che contraddistinguevano quelle donne, quegli anziani, quei bambini. Rapito dalle scene che si svolgevano davanti ai suoi occhi, sentiva che dentro di lui la paura stava pian piano lasciando il posto ad un senso di serenità e di pace. Forse sono già morto, pensava, e il mio spirito sta vagando nell’alba dell’uomo; forse tutte le anime devono percorrere a ritroso l’intera storia dell’umanità, prima di giungere al riposo eterno.
Mentre era immerso in queste riflessioni, si accorse che una giovane donna si stava dirigendo a passo sicuro verso di lui; era di corporatura minuta e snella, ma il suo seno era molto prosperoso, ed era vestita di pelli colorate, azzurre e verdi. Lorenzo avvertì subito che la ragazza, contrariamente agli altri, poteva vederlo, e procedeva tenendo lo sguardo ben fisso su di lui. Ad una distanza di pochi passi si fermò; lo osservò, seria e attenta, senza aprire bocca, e con gli occhi nerissimi sembrava volerlo penetrare fin dentro l’anima. Lorenzo era timoroso; restò un attimo in silenzio, poi prese coraggio: “….Chi sei? Perché sono qui? Sono per caso…morto?”. La ragazza non rispose, e Lorenzo fu di nuovo assalito dalla paura. Poi lei cominciò a parlargli; le sue labbra non si muovevano ma la sua voce arrivava alla mente del ragazzo: “ Non preoccuparti, tutto esiste, non si trasforma e non scompare mai; il tempo passa, ma resta immutato…e tu sei vivo e vegeto”. Lorenzo, tranquillizzato dal tono pacato ed amichevole della ragazza, le chiese: “ Come mai riesco a sentirti, se non stai neppure parlando?”. “ Partecipiamo a due realtà separate, che si stanno incontrando perché io l’ho voluto; ho scelto te, perché hai sempre sognato di poter vivere nel passato. Io mi chiamo A’ster. Sul coccio che stringi tra le mani è incisa la mia immagine: ho voluto conoscerti, perché sei diverso, perché senti l’energia degli esseri viventi che permane oltre il tempo da loro vissuto. Ho visto la tua commozione, quando hai portato dei fiori sugli antichi sepolcri scoperti sulle rive del fiume Omec, nel punto in cui lascia le alture. Sei stato l’unico a farlo, l’unico a sentire ancora vivi degli umani così lontani dal tuo tempo. Nella tua epoca hanno profanato e distrutto gli antichi sepolcri, per costruire enormi capanne dove si vendono merci…e tu, che ami il passato, ti sei dato da fare per denunciarne l’orrore. Sulla tua scuola è caduto un uccello di fuoco, che ha ucciso tanti giovani come noi: la loro energia è rimasta, e ha permesso che quel luogo diventasse utile per alleviare le sofferenze, l’avete chiamato “Casa della Solidarietà”. Tu hai una grandissima passione per la storia e la tua memoria è prodigiosa; la tua passione e le tue conoscenze aiuteranno il mio popolo, il Popolo dell’Acqua. Ti ho scelto per mostrarti come affrontiamo la vita; il tuo tempo qui sarà un tempo molto breve, sarà un tempo compresso. Sarai come una farfalla, la cui vita si esaurisce in tempi che a noi sembrano brevissimi, ma che per lei sono lunghi come i nostri perché completano il ciclo biologico di una vita intera.
Lorenzo osservava attento quella giovane ragazza molto determinata. “Quanti anni hai A’ster?” le chiese. “Ho quattordici stagioni calde; mia madre è morta l’anno scorso di gola stretta, così devo occuparmi dei miei due fratelli più piccoli.”. Lorenzo non capiva ancora il senso di tutto quello che gli stava accadendo: “Ma perché mi hai voluto qui? Come posso aiutarvi? Allora A’ster si sedette sul prato e, prendendogli una mano tra le sue, lo invitò a sedere accanto a lei; iniziò un lungo racconto, durante il quale il ragazzo provò stupore e paura, ma non dubitò neppure per un attimo delle incredibili parole di A’ster e dei suoi occhi sinceri. “Io vedo il presente ma ho visto anche quello che verrà: sono fuggita della rigenerazione totale, che sarà realizzata molte stagioni dopo il tuo tempo. Gli uomini-macchina hanno trovato intatto un mio dente, sepolto qui, e tramite quello mi hanno rigenerata. Loro sono il frutto di un incrocio tra uomini e macchine, al quale gli umani sono stati costretti per sopravvivere ad una terribile guerra che ha distrutto tutto. Dopo, la storia come la conosci tu si è fermata; gli uomini-macchina non conoscono le emozioni. Di solito non muoiono, tranne casi rari, in cui la parte umana si ferma e non dà più segni di vita, senza che riescano a capirne la ragione. Per far funzionare il loro mondo hanno bisogno di un numero preciso di corpi, e se li procurano rigenerando gli uomini del passato. Ritengono pericolosi i sentimenti, perché irrazionali e incontrollabili, ma non sono ancora riusciti ad eliminarli dai cervelli e dai cuori di quelli che considerano solo pezzi di ricambio.
Noi dobbiamo cambiare il corso degli eventi nel tempo che scorre, dobbiamo evitare che quel mondo tremendo che ho visto con i miei occhi diventi reale. Me lo ha chiesto uno degli uomini- macchina, Altars; lui mi ha aiutato a tornare nel mio tempo. E’ l’unico che ha conservato qualcosa di umano come la compassione e altri sentimenti, ma è costretto a non manifestarli. Se scoprissero quello che prova, lo distruggerebbero immediatamente: le emozioni, che considerano irrazionali, mettono in pericolo la sopravvivenza di tutti. Pensano che siano state le emozioni e i sentimenti ad aver provocato la guerra che ha distrutto tutto. Altar ha testa di uomo ma braccia di ferro sotto la pelle. Dice che è possibile modificare gli eventi già passati, ma soltanto ripercorrendo la storia dell’umanità dal principio. Non vuole che gli umani diventino come loro; mostri che non si ammalano mai, che non fanno più l’amore e non conoscono più il bello naturale. Nel tempo di Altar non sentono gli odori dei fiori, perché dopo la terribile guerra non ne è sopravvissuto nemmeno uno e quelli rigenerati non profumano. Non conoscono l’azzurro del cielo, perché il piccolo essere invisibile ai nostri occhi, creato per distruggere, si è moltiplicato e impadronito di tutto lo spazio alto facendolo diventare rosso come il sangue che ci scorre nelle vene. L’unico sentimento che sono in grado di provare è l’odio verso chi è venuto prima di loro: ci considerano responsabili della loro situazione. Per cambiare questo terribile futuro occorre rivedere la nostra storia: tu dovrai conoscere la mia realtà e in base alle tue conoscenze cercare di farmi capire gli errori che facciamo; in questo modo potremo correggerli e far sì che non si perpetuino fino alla guerra totale. Altar dice che la trasmissione dei dati e delle conoscenze avviene anche attraverso un cervello situato in una ghiandola, che noi del passato ancora non conosciamo, è un cervello che ricorda le emozioni e le trasmette ai discendenti. Io non capisco come reagisce il tuo cervello di fronte alle nuove sensazioni, da noi è tutto più semplice; io ragiono come gli umani del mio tempo e quando ero nel futuro c’erano molte cose che non capivo. Tu sotto molti aspetti sembri uno di noi; hai mantenuto istinto ed emozioni semplici, per questo possiamo comprenderci. Grazie ad Altar ho la possibilità di comunicare attraverso il pensiero e possiedo conoscenze superiori a quelle dei miei contemporanei. Molte delle cose che mi ha detto Altar sono complicate e lontanissime dalla mia realtà. Quasi tutti nel villaggio mi considerano “con la mente lontana”, che dice cose strane da quando è morta sua madre. Ho cercato di spiegare loro che ci sono esseri tanto piccoli che non si vedono, ma capaci di portare malattie, e che muoiono al calore del fuoco; ho detto loro che la luce può portare nelle case calore e voci lontane; che ci saranno uccelli tanto grandi da poter contenere nel loro ventre tutto il villaggio. Ma ridono quando racconto queste cose.” A’ster pronunciò queste ultime parole con il volto triste, e i suoi occhi scuri sembravano scrutare il cuore di Lorenzo. “Io ti starò sempre vicina” continuò “e ti risponderò se vorrai pormi delle domande. Possiamo cambiare il tempo che verrà. Dobbiamo modificare quel futuro terribile, l’ho giurato ad Altar. Io cercherò di non condizionare il tuo pensiero, perché solo così capirai se anche nella nostra mentalità e nel nostro comportamento ci sono già i germi di quell’orrore che porterà agli uomini-macchina. Ora andiamo, ci sono molte cose che devi vedere”.
CAPITOLO 2
A’ster condusse Lorenzo per mano fino alla riva del lago e lo invitò a salire con lei su una leggera imbarcazione, grazie alla quale avrebbero raggiunto il villaggio. Mentre la piccola barca si avvicinava lentamente alla palafitta ondeggiando sull’acqua, A’ster mostrava a Lorenzo le abitazioni del villaggio, alcune a pianta rettangolare, altre dalla forma irregolare; tutte erano fornite di una specie di camino per la fuoriuscita del fumo. Il giovane fu colpito dai colori sgargianti che ricoprivano le pareti esterne: le capanne erano rosse, gialle, azzurre, ognuna caratterizzata da una tonalità assolutamente particolare rispetto alle altre. Oltre ad essere colorate così allegramente, le pareti delle capanne erano decorate con disegni energici e strani: l’effetto era davvero incantevole. A’ster si accorse dell’attenzione con la quale osservava quei disegni, e gliene spiegò il significato: “Ogni famiglia del villaggio possiede un segno distintivo, che è tramandato di padre in figlio: alcuni stemmi risalgono a moltissime generazioni fa. Quelli di noi che hanno segni comuni, discendono dagli stessi avi. Fino a molti giorni di cammino da qui ci sono villaggi simili al nostro; osservando le loro capanne riusciamo a capire se hanno il nostro stesso sangue e quante generazioni di grandi padri sono passate dal momento in cui avevamo parenti comuni. Come puoi vedere, i segni sono disposti sulle pareti su diversi livelli: quelli che si trovano più in alto appartengono alle ultime generazioni; se i disegni raggiungono quasi il tetto significa che sono passati molti padri e madri nella capanna. Quando arrivano persone nuove nel villaggio, devono per prima cosa crearsi un proprio segno distintivo, in modo da intrecciare subito un legame col resto della comunità. Non accettiamo chi non ha un proprio segno distintivo; i legami d’appartenenza delle famiglie servono per mantenere la pace tra i membri del Popolo dell’Acqua. Sono già venti inverni che non ci sono guerre. Mio padre mi racconta che l’ultima battaglia è stata provocata dai guerrieri che venivano dalle alte vette: non trovavano cibo a causa del terribile inverno, e per questo assaltarono il villaggio. Trenta di loro furono uccisi e i cinque più giovani furono risparmiati e accolti nel villaggio, dopo che ebbero deposto le armi. Sono i padri di Atter, Mistar, Ertis, Mos e Tressir.”. Dopo un attimo di silenzio, durante il quale un’ombra di tristezza le attraversò lo sguardo, A’ster proseguì “Tressir è dentro il mio cuore e spero che presto i suoi occhi scuri cominceranno a vedermi bella. Il suo segno distintivo è la freccia piantata nel terreno. Mio padre Oppes mi dice che ho già l’età per unirmi con un uomo, e che presto dovrò sceglierne uno per costruire un’altra capanna sull’acqua. Una donna senza uomo e un uomo senza donna diventano costas e devono fare i lavori più pesanti. I costas scavano le radici più grosse, muovono la terra con i legni aguzzi per spargere i semi di coper, raccolgono la legna per il fuoco e portano le armi che i cacciatori usano per colpire le prede. Io aspetto con ansia che Tressir mi dica che ho il grande petto per allattare i suoi figli e che la notte freme perché vuol sentire vicino il mio calore. Qualche volta vedo i suoi occhi illuminarsi su di me, ma solo per un attimo, poi li volge altrove, come se non potesse sostenere il mio sguardo. Tressir ha sedici autunni, e gli è stata già assegnata la conchiglia tonda per il suo coraggio nell’affrontare i grandi maiali con le zanne ricurve. Presto dovrà scegliere una compagna. I suoi lunghi capelli del colore di erba bruciata dal sole non accendono solo il mio cuore ma anche quello di Caser: lei piace a tutti, per i suoi fianchi larghi e le caviglie grosse. Vedo che a volte Tressir osserva anche lei, e il mio cuore si riempie di rabbia e tristezza. Ho chiesto anche i consigli della grande vecchia magra, che ha visto fiorire tanti amori, e mi ha detto di aspettare che il sangue di Tressir diventi vivo nelle vene, e che spesso gli uomini ritardano la vita adulta perché vogliono restare senza pensieri il più possibile. Sognano solo grandi cacce e nemici da affrontare nelle battaglie.” Mentre A’ster parlava, la barca giunse alla palafitta, e i due ragazzi, servendosi di una scaletta di corda, salirono al villaggio. Cominciarono ad aggirarsi tra le capanne, e A’ster rispondeva con precisione alle domande che il ragazzo, curioso e interessato, le rivolgeva. Gli disse che il terramare contava circa duecento abitanti, e che ogni famiglia era piuttosto numerosa, con tre o quattro figli almeno. Gli spiegò che gli anziani avevano il compito di educare i più piccoli, e i genitori interferivano il meno possibile nel rapporto tra nonni e nipoti. Erano i genitori del padre a vivere con la famiglia, perciò i vecchi erano quasi contesi tra i vari figli maschi. Essendo così importante il loro ruolo nell’educazione dei nipoti per la continuazione della tradizione famigliare, chi era privo di anziani in casa sembrava addirittura appartenere ad un gradino inferiore nella gerarchia del terramare. Spesso per evitare ogni contrasto tra i figli i grandi padri e le grandi madri si spostavano a rotazione da una capanna all’altra dei loro figli maschi. Le figlie femmine non avevano nessun diritto, una volta sposate, di avere i propri genitori con sé. Lorenzo lesse in questa tradizione un’antichissima forma di maschilismo. Mentre passeggiavano, si formò attorno a loro un gruppetto di bambini, che ridevano e si attaccavano alle vesti di A’ster. Allora la ragazza si sedette e cominciò a raccontare di fantastiche macchine volanti, di luci che di notte illuminano più di mille fuochi e di scatole che magicamente riflettono la tua immagine, come quando vedi il tuo viso chinandoti su uno specchio d’acqua pura. I bambini ascoltavano, con un sorriso rapito; anche loro consideravano A’ster “una con la mente lontana”, ma amavano starla a sentire, perché era così brava a descrivere le sue fantasie da farle sembrare vere. Mentre A’ster narrava, si fermò di fianco a lei un ragazzo, che superava in altezza la media dei giovani della sua età. Aveva i capelli lunghi e neri, e una peluria scura cominciava ad ornargli il mento: sembrava volesse metterla in mostra, toccandola in continuazione con orgoglio e cercando di intrecciare i peli tra loro, nonostante fossero ancora molto radi. Lorenzo, guardandosi intorno, aveva notato che tutti gli adulti avevano i peli lunghissimi sul mento, e li portavano legati e intrecciati con delle piccole corde colorate; A’ster gli aveva spiegato che quelle corde erano ricavate dalle pelli del grande animale con i rami degli alberi sulla testa. A’ster lasciò i bambini, promettendo loro nuovi racconti e, alzatasi, iniziò a parlare col ragazzo, di nome Martis, che sembrava avere la sua stessa età. Gli riferì ciò che le aveva raccontato Lorenzo, vale a dire che nei tempi futuri tanti giovani avrebbero portato i capelli come i suoi e che il pizzetto sarebbe diventato comune. Anche Lorenzo portava incolti i suoi primi peli del mento e aveva lasciato crescere i capelli fino alle spalle; la sua altezza era però molto elevata rispetto a quella dei giovani del terramare. A’ster spiegò a Martis che molti giovani nel futuro si sarebbero anche tinti i capelli del color delle foglie quando cadono o di quello delle bacche invernali. Martis la guardava sorridendo, e si chiedeva perché mai i giovani del futuro si sarebbero colorati i capelli come i copricapo dei grandi padri del villaggio. Mentre i due giovani terramaricoli discorrevano, Lorenzo osservò attentamente Martis: indossava una tunica di lana, coperta di pelli color del fuoco, che facevano risaltare il suo volto delicato, quasi femminile; i suoi occhi erano così chiari che sembrava di vederci dentro il cielo di primavera, mentre i capelli erano scuri. Legati alle orecchie portava alcuni pendagli, che sembravano rappresentare animali fantastici. A’ster notò l’attenzione con cui Lorenzo scrutava quegli strani monili e gli spiegò che erano stati realizzati dal grande padre di Martis, il vecchio Mistert, considerato il miglior incisore di legno di tutti i villaggi che si trovavano fino a due giorni di cammino; aveva imparato a scolpirli dai sestert, i guerrieri delle tribù del nord, che popolavano le terre oltre le alte vette occidentali. Gli animali rappresentati nei pendagli erano stati uccisi dai loro antichi padri. Si trattava di animali alti come le grandi querce, che vivevano oltre le colline del picco dell’aquila, e che averli uccisi era considerato un grande onore, a causa del coraggio necessario per affrontarli. Con un solo morso potevano staccare il braccio o la testa di un uomo, e per vincerli occorreva essere almeno in venti tra i migliori guerrieri. Venivano cacciati per la loro carne grassa e per evitare che divorassero tutta l’erba, le piante e i piccoli totr, di cui anche gli uomini si nutrivano. Martis guardava negli occhi A’ster, e Lorenzo capì subito che era interessato a quella ragazza che raccontava storie fantastiche, ma che col suo seno già pronto per allattare e con gli occhi scintillanti gli faceva battere il cuore. Martis aveva donato ad A’ster un piccolo amuleto della fortuna a forma di sole, che suo nonno aveva fabbricato per lei. Ma il cuore di A’ster batteva per Tressir. Martis si era anche ornato con la preziosa collana dei suoi antenati; erano stati i più valorosi del villaggio e ciò rendeva il giovane più attraente, le aveva anche chiesto di andare con lui nel tempio di Darted, la dea che feconda i semi, a tre ore di cammino dal villaggio; avrebbero portato con sé i semi di coper, e chiesto alla dea un buon inverno bianco, che protegge dal freddo le nuove piantine nate da quei semi del colore del sole e permette loro di moltiplicarsi. Ma A’ster voleva andarci col ragazzo che amava, che però non l’aveva invitata ad accompagnarlo. A’ster si allontanò da Martis, la ragazza e Lorenzo ripresero la loro passeggiata tra le capanne. A’ster gli spiegò che gli uomini del villaggio erano una cinquantina, più quindici giovani tra i dodici e i sedici anni. Se un ragazzo a sedici anni superava la prova di coraggio, diventava orter (uomo) e aveva il diritto di scegliere una compagna tra le donne del villaggio; oppure poteva andare a cercarla nei villaggi vicini, ma portando in dono al padre della ragazza venti pelli e dieci otri pieni di semi di coper. Il padre poteva rifiutare o accettare l’offerta, e anche la ragazza scelta doveva dare il suo consenso, e solitamente faceva in modo che il ragazzo da lei preferito capisse il suo interessamento per lui. Lorenzo, ascoltando i racconti di A’ster e guardando attorno a sé tutte quelle scene di vita quotidiana, pensava che era sempre l’amore a guidare l’uomo e che era cambiato ben poco con lo scorrere delle generazioni. A’ster gli disse che il suo nome significava “figlia della notte più lunga”, e che si era anche toccata le guance in segno di amore davanti a Tressir, ma che lui aveva chinato la testa. A Lorenzo Tressir sembrava soltanto un ragazzo timido come lui, e consigliò ad A’ster di parlargli apertamente del suo sentimento non appena si fosse presentata l’occasione. La bellezza della ragazza probabilmente non era sufficiente a farla apparire interessante agli occhi di Tressir, forse temeva che per le sue stranezze, non fosse in grado di allevare i figli che sarebbero nati. A’ster, che leggeva nel pensiero di Lorenzo, gli spiegò che altri però la consideravano una “baciata dagli dei” per la sua capacità di dare consigli utili per superare molte difficoltà : “Tutti rimasero stupiti quando videro arrivare al villaggio l’uomo dai pugnali luccicanti. Io avevo annunciato diverse volte, quando avevo solo otto stagioni, che presto i guerrieri avrebbero avuto armi che brillano al sole, più dure e resistenti di qualsiasi pietra, e che proprio dalle pietre bruciate nel grande forno queste nuove armi sarebbero nate. Ho anche predetto che presto i giovani avrebbero abbandonato le asce e i coltelli di pietra, che richiedono giorni e giorni di lavoro prima di essere affilate e taglienti, e le avrebbero sostituite con altre, fabbricate col materiale estratto col fuoco dalle pietre rosse. I primi a portarle al villaggio furono i mercanti venuti dal paese dove il sole è sempre caldo, e le ottenemmo in cambio di pelli e pietre colorate. Erano uomini con i capelli crespi e la pelle bruciata dal sole che venivano dai territori oltre il grande lago salato, e dicevano che la loro terra si trovava tra due grandi fiumi. I guerrieri non credevano ai propri occhi quando mostravano la terribile potenza di quelle armi. Potevano abbattere un albero grosso come un braccio con solo pochi colpi, e trapassare con un colpo solo il grande maiale con le zanne, senza che si spuntassero o si piegassero”. Mentre ascoltava A’ster, Lorenzo pensò subito che si trattasse di armi di bronzo fuso; ne aveva trovato un piccolo frammento ricurvo proprio in quel terramare. Col tempo il metallo aveva assunto un colore verdastro, per la percentuale di rame che conteneva, ma appena fuso e strofinato doveva essere brillante come l’oro. Pensò anche che i portatori di quelle armi si riferissero al Tigri e all’Eufrate quando parlavano di una terra tra due grandi fiumi; Lorenzo sapeva che le popolazioni di quella zona possedevano già una civiltà avanzatissima in quel periodo. Si chiedeva se fosse possibile che i mercanti della Mesopotamia fossero già giunti in un’epoca così lontana in quel lembo di terra ai margini della pianura padana. A’ster intanto gli stava raccontando che solo mettendo insieme tutte le pelli del villaggio e almeno due vasi colmi di pietre colorate era stato possibile comprare alcuni pugnali, tre lunghi coltelli e diverse asce. Quelle armi formidabili erano state distribuite ai guerrieri più valorosi, a quelli che avevano saputo difendere le donne del villaggio quando i gortel (gli scacciati) volevano rapirle per portarle con loro. I gortel non avevano donne ed erano stati scacciati a causa di comportamenti che il Consiglio dei Saggi del villaggio riteneva sbagliati. Un tempo un gortel di nome Marfis aveva rubato tutto il raccolto di coper del villaggio vicino e aveva cercato di scambiarlo con i pesci essiccati di un villaggio lontano; ma gli abitanti di quel villaggio, informati del furto, avevano avvertito Ortes, che aveva riunito subito il Consiglio dei Saggi. Il Consiglio aveva ordinato la cacciata di Marfis, dopo averlo fatto seguire per scoprire dove teneva i preziosi semi. I gortel che avevano tentato di rapire le donne erano stati tutti uccisi, dopo essere stati inseguiti fino alla grande collina di color blu degli uomini più veloci nella corsa. Tra i guerrieri inseguitori c’era anche Attar, che da poco era diventato uomo superando la prova di coraggio. La prova consiste nell’affrontare a mani nude, provvisti solo delle corde di pelle per legarlo, il più grosso maiale selvatico con le zanne, che è chiuso nel grande recinto del villaggio. Il maiale aveva ferito Attar sulla coscia sinistra prima di essere immobilizzato; anche se perdeva molto sangue, il giovane aveva continuato a lottare con l’animale, fino a quando non era riuscito a legarlo. Attar era talmente orgoglioso della sua ferita che evidenziava il bordo della grande cicatrice con il colore rosso, come il sangue che dalla ferita era sgorgato. Ad A’ster piacevano gli occhi color del cielo nuvoloso di Attar, ma era troppo basso di statura, e in ogni caso non le faceva battere il cuore come Tressir.
Quello doveva essere un giorno speciale, perché tutti i guerrieri erano tornati al villaggio in poco tempo; avevano compiuto solo una breve perlustrazione del territorio circostante. Quando gli abitanti del villaggio sull’acqua scendevano a svolgere attività a terra, occorreva perlustrare il territorio vicino diverse volte. La raccolta della legna teneva impegnate molte donne e alcuni guerrieri le accompagnavano per evitare che fossero rapite da gortel che venivano da lontano, o che fossero attaccate dai giganteschi uomini pelosi dei boschi che camminano ritti e mangiano carne umana.
Carlo Soricelli
AMARE OLTRE LO SPAZIO- TEMPO
CAPITOLO 1
Lorenzo tornò nel terramare: c’era stato dieci anni prima, da bambino, ed era rimasto affascinato dai racconti del padre su quel luogo misterioso. Suo padre si entusiasmava per tutto ciò che riguardava il passato e gli ripeteva sempre di guardare i campi appena arati, perché potevano emergervi tracce di epoche remote. Con Lorenzo c'era Michele, che gli aveva chiesto di vedere quel luogo, incuriosito dai racconti dell’amico; quel giorno a scuola era stato indetto uno sciopero e i due studenti avevano deciso di disertare la manifestazione di piazza per andare a visitare il sito archeologico, vicino all’aeroporto di Bologna. Una volta arrivati si accorsero con stupore che sul luogo erano in corso degli scavi, lì dove a breve sarebbero sorte nuove fabbriche. Per poter dare l’autorizzazione a procedere, la Sovrintendenza voleva verificare che sotto terra non si trovassero ancora importanti reperti. Si trattava di un sito conosciuto già dall’Ottocento, ma mai portato completamente alla luce, testimonianza di un insediamento appartenente all’età del bronzo. Gli archeologi stavano lavorando dentro grandi buche scavate nel terreno; erano tutti molto giovani, tranne un uomo di circa una quarantina d’anni. Lorenzo e Michele si aggiravano curiosi tra le piccole montagne di terra depositate dalle scavatrici notando cocci di vasi sparsi un po' ovunque: probabilmente si trattava di materiali poco importanti agli occhi degli esperti, ma i due ragazzi si emozionarono pensando a quanto quei reperti fossero antichi. Ad un tratto si avvicinarono a quello che sembrava il responsabile degli scavi e Michele cominciò ad interrogarlo, chiedendogli che cosa aveva trovato, quali erano le dimensioni del sito, a quante migliaia d’anni prima risaliva. L’archeologo fu particolarmente gentile con loro, contento che due ragazzi così giovani dimostrassero interesse per il suo lavoro. Alle parole dell'archeologo, prendeva forma nella mente fantasiosa dei due ragazzi l’immagine del villaggio sull’acqua, pieno di vita e di attività. Al termine di quella mattinata, Lorenzo e Michele tornarono a casa soddisfatti per quello che avevano visto.
Il sabato successivo erano di nuovo al terramare. Sembrava una mattina invernale, anche se era solo l’inizio d’ottobre; il cielo era coperto e una leggera nebbia rendeva tutto evanescente. Le montagne di terra e le grandi buche prodotte dal lavoro delle scavatrici davano al paesaggio un aspetto misterioso ed irreale. Le strade attorno erano deserte; non un’automobile, non una persona. I due giovani si separarono, cominciando ad esplorare ognuno un punto diverso degli scavi. Lorenzo si mise a raccogliere cocci di vasi e di ciotole impastate grossolanamente: frammenti di passato, mescolati alla terra fresca. Era molto emozionato; immaginava che aspetto dovesse avere quel luogo tremila anni prima. Un frammento, probabilmente sfuggito agli archeologi lo incuriosì: su un lato era visibile una sottile incisione, l’immagine stilizzata di una figura umana, accanto ad un cerchio. Il ragazzo si chinò per afferrare il coccio, ma non appena lo strinse tra le mani avvertì un fortissimo calore, come se quel frammento fosse incandescente. Improvvisamente le sue orecchie si riempirono di suoni insoliti; una specie di nenia dolce ma incomprensibile gli penetrò la mente. Una parte di lui era irretita da quel canto, ma un’altra parte voleva allontanarsi, scappare; vide Michele, a poche decine di metri da lui, e questo lo tranquillizzò. Le voci diventavano a poco a poco sempre più chiare, sempre più vicine, sembravano levarsi dal terreno. Ad un tratto una voce femminile cominciò a sentirsi più delle altre, a diventare sempre più insistente, fino a sovrastarle tutte: lo chiamava per nome...Lorenzo…Lorenzo…gli chiese di tornare presto e da solo. Il ragazzo, impaurito, gettò a terra il coccio. Di colpo tornò il silenzio. Michele gli si avvicinò, e, vedendolo pallido, si preoccupò per lui: ma Lorenzo sentì che non doveva fare parola a nessuno di ciò che gli era accaduto. Gli rispose che aveva solo freddo e fame, e che era ora di tornare a casa. Lorenzo ripensò tutto il giorno a quel coccio, a quelle voci; forse sto impazzendo, diceva a se stesso, o forse mi sta succedendo qualcosa d’eccezionale. Nonostante la paura, la mattina dopo si alzò quando in casa ancora dormivano tutti; lasciò un biglietto a sua madre, scrivendole che doveva uscire per un allenamento con la sua squadra di calcio di cui il giorno prima si era dimenticato di avvertirla, e salì in macchina, diretto al terramare.
Arrivò che era ancora buio, e continuò a guidare per un po’, fino a quando le prime luci del mattino non resero visibili i contorni delle cose. Scese dall’automobile e camminò fino alla buca più ampia tra quelle scavate nel terreno; rimase immobile in quel punto per interminabili minuti, attento a percepire il minimo rumore. Non sentì nulla. Allora ripensò al coccio, che il giorno precedente aveva gettato a terra per lo spavento; si mise a cercarlo, e dopo una decina di minuti lo trovò. Titubante, lo raccolse: ed ecco di nuovo un inspiegabile calore, che dalla mano s’irradiò velocemente a tutto il corpo. All’improvviso, tra la nebbia, vide materializzarsi uno spettacolo incredibile: al posto della grande buca, si stendeva uno specchio d’acqua, e sull’acqua sorgeva un villaggio primitivo. Lorenzo era terrorizzato ma anche irresistibilmente attratto da quello che vedeva; la curiosità vinse la paura, e il ragazzo cominciò lentamente ad avvicinarsi al villaggio. Pensava che forse gli si stava presentando un’occasione straordinaria, quella di mettersi in contatto con esseri umani vissuti in altre epoche; forse avrebbe trovato le risposte alle tante domande sul senso della vita che ogni tanto si poneva. Poi si fermò, incantato da quello che accadeva davanti ai suoi occhi: il villaggio si era appena risvegliato. Alcuni uomini gettavano dalle loro case sull’acqua delle scalette di corda e si calavano in piccole barche di legno, grazie alle quali potevano spingersi fino alla terraferma. Ognuno stringeva tra le mani un’arma: chi una lancia, chi un lungo pugnale. Scesero dalle barche e procedettero per un centinaio di metri in fila indiana, verso il piccolo bosco che circondava lo specchio d’acqua. Un gruppetto si staccò dagli altri e si diresse verso la radura, ad est. Poco dopo, tornarono tutti verso le palafitte, emettendo una specie di sibilo, acuto e potente. Udito quel segnale, dalle capanne sull’acqua cominciarono ad uscire donne e bambini, sicuri ormai che nessun pericolo incombeva sul villaggio. In poco tempo tutto si animò. Mentre scendevano a terra era un continuo vociare, un continuo riecheggiare di nomi strani: “Saarm…Scas…Aterr!”. Ognuno sembrava impegnato a chiamare qualcun altro. Anche le donne si chiamavano tra loro: “Amin…Serto…A’ster!”. Sembravano avviarsi tutte verso la stessa direzione, e ognuna portava con sé due o tre bambini; i colori delle loro vesti erano brillanti e vivaci. Le donne e i bambini si riunirono in uno spiazzo tra le case e cominciarono a discutere tra loro, in una lingua strana e cadenzata; i bambini furono divisi in piccoli gruppi, secondo l’età, mentre continuavano a giocare animatamente. Alcune donne avevano la pelle più chiara, altre più abbronzata. Erano tutte giovanissime, e Lorenzo pensò che fossero le sorelle maggiori di quei bambini; poi capì che erano le loro madri. All’apparenza nessuna superava i diciotto anni; alcune sembravano ancora bambine. Lorenzo pensò che i primitivi erano meno longevi di noi, e che quindi ogni fase della loro vita era molto anticipata rispetto alla nostra epoca. Dopo pochi minuti le donne si sparpagliarono verso varie direzioni, alcune si avviarono verso una radura, altre verso il bosco, dove ora sorgono le fabbriche. Lorenzo si rese conto che gli abitanti del villaggio non potevano vedere l’aeroporto, le fabbriche, così come non vedevano lui: quando sembravano fissarlo, in realtà lo attraversavano con lo sguardo, come se non avesse un corpo materiale. Ai bambini più piccoli si avvicinarono gli anziani, probabilmente i nonni, rivolgendosi a loro con voci dal timbro deciso ma affettuoso; portavano un copricapo rosso fuoco, all’apparenza formato da spighe di grano colorate, forse un segno distintivo, destinato a chi aveva raggiunto un’età considerata matura. Lorenzo era stupito dalla vitalità e dall’energia che contraddistinguevano quelle donne, quegli anziani, quei bambini. Rapito dalle scene che si svolgevano davanti ai suoi occhi, sentiva che dentro di lui la paura stava pian piano lasciando il posto ad un senso di serenità e di pace. Forse sono già morto, pensava, e il mio spirito sta vagando nell’alba dell’uomo; forse tutte le anime devono percorrere a ritroso l’intera storia dell’umanità, prima di giungere al riposo eterno.
Mentre era immerso in queste riflessioni, si accorse che una giovane donna si stava dirigendo a passo sicuro verso di lui; era di corporatura minuta e snella, ma il suo seno era molto prosperoso, ed era vestita di pelli colorate, azzurre e verdi. Lorenzo avvertì subito che la ragazza, contrariamente agli altri, poteva vederlo, e procedeva tenendo lo sguardo ben fisso su di lui. Ad una distanza di pochi passi si fermò; lo osservò, seria e attenta, senza aprire bocca, e con gli occhi nerissimi sembrava volerlo penetrare fin dentro l’anima. Lorenzo era timoroso; restò un attimo in silenzio, poi prese coraggio: “….Chi sei? Perché sono qui? Sono per caso…morto?”. La ragazza non rispose, e Lorenzo fu di nuovo assalito dalla paura. Poi lei cominciò a parlargli; le sue labbra non si muovevano ma la sua voce arrivava alla mente del ragazzo: “ Non preoccuparti, tutto esiste, non si trasforma e non scompare mai; il tempo passa, ma resta immutato…e tu sei vivo e vegeto”. Lorenzo, tranquillizzato dal tono pacato ed amichevole della ragazza, le chiese: “ Come mai riesco a sentirti, se non stai neppure parlando?”. “ Partecipiamo a due realtà separate, che si stanno incontrando perché io l’ho voluto; ho scelto te, perché hai sempre sognato di poter vivere nel passato. Io mi chiamo A’ster. Sul coccio che stringi tra le mani è incisa la mia immagine: ho voluto conoscerti, perché sei diverso, perché senti l’energia degli esseri viventi che permane oltre il tempo da loro vissuto. Ho visto la tua commozione, quando hai portato dei fiori sugli antichi sepolcri scoperti sulle rive del fiume Omec, nel punto in cui lascia le alture. Sei stato l’unico a farlo, l’unico a sentire ancora vivi degli umani così lontani dal tuo tempo. Nella tua epoca hanno profanato e distrutto gli antichi sepolcri, per costruire enormi capanne dove si vendono merci…e tu, che ami il passato, ti sei dato da fare per denunciarne l’orrore. Sulla tua scuola è caduto un uccello di fuoco, che ha ucciso tanti giovani come noi: la loro energia è rimasta, e ha permesso che quel luogo diventasse utile per alleviare le sofferenze, l’avete chiamato “Casa della Solidarietà”. Tu hai una grandissima passione per la storia e la tua memoria è prodigiosa; la tua passione e le tue conoscenze aiuteranno il mio popolo, il Popolo dell’Acqua. Ti ho scelto per mostrarti come affrontiamo la vita; il tuo tempo qui sarà un tempo molto breve, sarà un tempo compresso. Sarai come una farfalla, la cui vita si esaurisce in tempi che a noi sembrano brevissimi, ma che per lei sono lunghi come i nostri perché completano il ciclo biologico di una vita intera.
Lorenzo osservava attento quella giovane ragazza molto determinata. “Quanti anni hai A’ster?” le chiese. “Ho quattordici stagioni calde; mia madre è morta l’anno scorso di gola stretta, così devo occuparmi dei miei due fratelli più piccoli.”. Lorenzo non capiva ancora il senso di tutto quello che gli stava accadendo: “Ma perché mi hai voluto qui? Come posso aiutarvi? Allora A’ster si sedette sul prato e, prendendogli una mano tra le sue, lo invitò a sedere accanto a lei; iniziò un lungo racconto, durante il quale il ragazzo provò stupore e paura, ma non dubitò neppure per un attimo delle incredibili parole di A’ster e dei suoi occhi sinceri. “Io vedo il presente ma ho visto anche quello che verrà: sono fuggita della rigenerazione totale, che sarà realizzata molte stagioni dopo il tuo tempo. Gli uomini-macchina hanno trovato intatto un mio dente, sepolto qui, e tramite quello mi hanno rigenerata. Loro sono il frutto di un incrocio tra uomini e macchine, al quale gli umani sono stati costretti per sopravvivere ad una terribile guerra che ha distrutto tutto. Dopo, la storia come la conosci tu si è fermata; gli uomini-macchina non conoscono le emozioni. Di solito non muoiono, tranne casi rari, in cui la parte umana si ferma e non dà più segni di vita, senza che riescano a capirne la ragione. Per far funzionare il loro mondo hanno bisogno di un numero preciso di corpi, e se li procurano rigenerando gli uomini del passato. Ritengono pericolosi i sentimenti, perché irrazionali e incontrollabili, ma non sono ancora riusciti ad eliminarli dai cervelli e dai cuori di quelli che considerano solo pezzi di ricambio.
Noi dobbiamo cambiare il corso degli eventi nel tempo che scorre, dobbiamo evitare che quel mondo tremendo che ho visto con i miei occhi diventi reale. Me lo ha chiesto uno degli uomini- macchina, Altars; lui mi ha aiutato a tornare nel mio tempo. E’ l’unico che ha conservato qualcosa di umano come la compassione e altri sentimenti, ma è costretto a non manifestarli. Se scoprissero quello che prova, lo distruggerebbero immediatamente: le emozioni, che considerano irrazionali, mettono in pericolo la sopravvivenza di tutti. Pensano che siano state le emozioni e i sentimenti ad aver provocato la guerra che ha distrutto tutto. Altar ha testa di uomo ma braccia di ferro sotto la pelle. Dice che è possibile modificare gli eventi già passati, ma soltanto ripercorrendo la storia dell’umanità dal principio. Non vuole che gli umani diventino come loro; mostri che non si ammalano mai, che non fanno più l’amore e non conoscono più il bello naturale. Nel tempo di Altar non sentono gli odori dei fiori, perché dopo la terribile guerra non ne è sopravvissuto nemmeno uno e quelli rigenerati non profumano. Non conoscono l’azzurro del cielo, perché il piccolo essere invisibile ai nostri occhi, creato per distruggere, si è moltiplicato e impadronito di tutto lo spazio alto facendolo diventare rosso come il sangue che ci scorre nelle vene. L’unico sentimento che sono in grado di provare è l’odio verso chi è venuto prima di loro: ci considerano responsabili della loro situazione. Per cambiare questo terribile futuro occorre rivedere la nostra storia: tu dovrai conoscere la mia realtà e in base alle tue conoscenze cercare di farmi capire gli errori che facciamo; in questo modo potremo correggerli e far sì che non si perpetuino fino alla guerra totale. Altar dice che la trasmissione dei dati e delle conoscenze avviene anche attraverso un cervello situato in una ghiandola, che noi del passato ancora non conosciamo, è un cervello che ricorda le emozioni e le trasmette ai discendenti. Io non capisco come reagisce il tuo cervello di fronte alle nuove sensazioni, da noi è tutto più semplice; io ragiono come gli umani del mio tempo e quando ero nel futuro c’erano molte cose che non capivo. Tu sotto molti aspetti sembri uno di noi; hai mantenuto istinto ed emozioni semplici, per questo possiamo comprenderci. Grazie ad Altar ho la possibilità di comunicare attraverso il pensiero e possiedo conoscenze superiori a quelle dei miei contemporanei. Molte delle cose che mi ha detto Altar sono complicate e lontanissime dalla mia realtà. Quasi tutti nel villaggio mi considerano “con la mente lontana”, che dice cose strane da quando è morta sua madre. Ho cercato di spiegare loro che ci sono esseri tanto piccoli che non si vedono, ma capaci di portare malattie, e che muoiono al calore del fuoco; ho detto loro che la luce può portare nelle case calore e voci lontane; che ci saranno uccelli tanto grandi da poter contenere nel loro ventre tutto il villaggio. Ma ridono quando racconto queste cose.” A’ster pronunciò queste ultime parole con il volto triste, e i suoi occhi scuri sembravano scrutare il cuore di Lorenzo. “Io ti starò sempre vicina” continuò “e ti risponderò se vorrai pormi delle domande. Possiamo cambiare il tempo che verrà. Dobbiamo modificare quel futuro terribile, l’ho giurato ad Altar. Io cercherò di non condizionare il tuo pensiero, perché solo così capirai se anche nella nostra mentalità e nel nostro comportamento ci sono già i germi di quell’orrore che porterà agli uomini-macchina. Ora andiamo, ci sono molte cose che devi vedere”.
CAPITOLO 2
A’ster condusse Lorenzo per mano fino alla riva del lago e lo invitò a salire con lei su una leggera imbarcazione, grazie alla quale avrebbero raggiunto il villaggio. Mentre la piccola barca si avvicinava lentamente alla palafitta ondeggiando sull’acqua, A’ster mostrava a Lorenzo le abitazioni del villaggio, alcune a pianta rettangolare, altre dalla forma irregolare; tutte erano fornite di una specie di camino per la fuoriuscita del fumo. Il giovane fu colpito dai colori sgargianti che ricoprivano le pareti esterne: le capanne erano rosse, gialle, azzurre, ognuna caratterizzata da una tonalità assolutamente particolare rispetto alle altre. Oltre ad essere colorate così allegramente, le pareti delle capanne erano decorate con disegni energici e strani: l’effetto era davvero incantevole. A’ster si accorse dell’attenzione con la quale osservava quei disegni, e gliene spiegò il significato: “Ogni famiglia del villaggio possiede un segno distintivo, che è tramandato di padre in figlio: alcuni stemmi risalgono a moltissime generazioni fa. Quelli di noi che hanno segni comuni, discendono dagli stessi avi. Fino a molti giorni di cammino da qui ci sono villaggi simili al nostro; osservando le loro capanne riusciamo a capire se hanno il nostro stesso sangue e quante generazioni di grandi padri sono passate dal momento in cui avevamo parenti comuni. Come puoi vedere, i segni sono disposti sulle pareti su diversi livelli: quelli che si trovano più in alto appartengono alle ultime generazioni; se i disegni raggiungono quasi il tetto significa che sono passati molti padri e madri nella capanna. Quando arrivano persone nuove nel villaggio, devono per prima cosa crearsi un proprio segno distintivo, in modo da intrecciare subito un legame col resto della comunità. Non accettiamo chi non ha un proprio segno distintivo; i legami d’appartenenza delle famiglie servono per mantenere la pace tra i membri del Popolo dell’Acqua. Sono già venti inverni che non ci sono guerre. Mio padre mi racconta che l’ultima battaglia è stata provocata dai guerrieri che venivano dalle alte vette: non trovavano cibo a causa del terribile inverno, e per questo assaltarono il villaggio. Trenta di loro furono uccisi e i cinque più giovani furono risparmiati e accolti nel villaggio, dopo che ebbero deposto le armi. Sono i padri di Atter, Mistar, Ertis, Mos e Tressir.”. Dopo un attimo di silenzio, durante il quale un’ombra di tristezza le attraversò lo sguardo, A’ster proseguì “Tressir è dentro il mio cuore e spero che presto i suoi occhi scuri cominceranno a vedermi bella. Il suo segno distintivo è la freccia piantata nel terreno. Mio padre Oppes mi dice che ho già l’età per unirmi con un uomo, e che presto dovrò sceglierne uno per costruire un’altra capanna sull’acqua. Una donna senza uomo e un uomo senza donna diventano costas e devono fare i lavori più pesanti. I costas scavano le radici più grosse, muovono la terra con i legni aguzzi per spargere i semi di coper, raccolgono la legna per il fuoco e portano le armi che i cacciatori usano per colpire le prede. Io aspetto con ansia che Tressir mi dica che ho il grande petto per allattare i suoi figli e che la notte freme perché vuol sentire vicino il mio calore. Qualche volta vedo i suoi occhi illuminarsi su di me, ma solo per un attimo, poi li volge altrove, come se non potesse sostenere il mio sguardo. Tressir ha sedici autunni, e gli è stata già assegnata la conchiglia tonda per il suo coraggio nell’affrontare i grandi maiali con le zanne ricurve. Presto dovrà scegliere una compagna. I suoi lunghi capelli del colore di erba bruciata dal sole non accendono solo il mio cuore ma anche quello di Caser: lei piace a tutti, per i suoi fianchi larghi e le caviglie grosse. Vedo che a volte Tressir osserva anche lei, e il mio cuore si riempie di rabbia e tristezza. Ho chiesto anche i consigli della grande vecchia magra, che ha visto fiorire tanti amori, e mi ha detto di aspettare che il sangue di Tressir diventi vivo nelle vene, e che spesso gli uomini ritardano la vita adulta perché vogliono restare senza pensieri il più possibile. Sognano solo grandi cacce e nemici da affrontare nelle battaglie.” Mentre A’ster parlava, la barca giunse alla palafitta, e i due ragazzi, servendosi di una scaletta di corda, salirono al villaggio. Cominciarono ad aggirarsi tra le capanne, e A’ster rispondeva con precisione alle domande che il ragazzo, curioso e interessato, le rivolgeva. Gli disse che il terramare contava circa duecento abitanti, e che ogni famiglia era piuttosto numerosa, con tre o quattro figli almeno. Gli spiegò che gli anziani avevano il compito di educare i più piccoli, e i genitori interferivano il meno possibile nel rapporto tra nonni e nipoti. Erano i genitori del padre a vivere con la famiglia, perciò i vecchi erano quasi contesi tra i vari figli maschi. Essendo così importante il loro ruolo nell’educazione dei nipoti per la continuazione della tradizione famigliare, chi era privo di anziani in casa sembrava addirittura appartenere ad un gradino inferiore nella gerarchia del terramare. Spesso per evitare ogni contrasto tra i figli i grandi padri e le grandi madri si spostavano a rotazione da una capanna all’altra dei loro figli maschi. Le figlie femmine non avevano nessun diritto, una volta sposate, di avere i propri genitori con sé. Lorenzo lesse in questa tradizione un’antichissima forma di maschilismo. Mentre passeggiavano, si formò attorno a loro un gruppetto di bambini, che ridevano e si attaccavano alle vesti di A’ster. Allora la ragazza si sedette e cominciò a raccontare di fantastiche macchine volanti, di luci che di notte illuminano più di mille fuochi e di scatole che magicamente riflettono la tua immagine, come quando vedi il tuo viso chinandoti su uno specchio d’acqua pura. I bambini ascoltavano, con un sorriso rapito; anche loro consideravano A’ster “una con la mente lontana”, ma amavano starla a sentire, perché era così brava a descrivere le sue fantasie da farle sembrare vere. Mentre A’ster narrava, si fermò di fianco a lei un ragazzo, che superava in altezza la media dei giovani della sua età. Aveva i capelli lunghi e neri, e una peluria scura cominciava ad ornargli il mento: sembrava volesse metterla in mostra, toccandola in continuazione con orgoglio e cercando di intrecciare i peli tra loro, nonostante fossero ancora molto radi. Lorenzo, guardandosi intorno, aveva notato che tutti gli adulti avevano i peli lunghissimi sul mento, e li portavano legati e intrecciati con delle piccole corde colorate; A’ster gli aveva spiegato che quelle corde erano ricavate dalle pelli del grande animale con i rami degli alberi sulla testa. A’ster lasciò i bambini, promettendo loro nuovi racconti e, alzatasi, iniziò a parlare col ragazzo, di nome Martis, che sembrava avere la sua stessa età. Gli riferì ciò che le aveva raccontato Lorenzo, vale a dire che nei tempi futuri tanti giovani avrebbero portato i capelli come i suoi e che il pizzetto sarebbe diventato comune. Anche Lorenzo portava incolti i suoi primi peli del mento e aveva lasciato crescere i capelli fino alle spalle; la sua altezza era però molto elevata rispetto a quella dei giovani del terramare. A’ster spiegò a Martis che molti giovani nel futuro si sarebbero anche tinti i capelli del color delle foglie quando cadono o di quello delle bacche invernali. Martis la guardava sorridendo, e si chiedeva perché mai i giovani del futuro si sarebbero colorati i capelli come i copricapo dei grandi padri del villaggio. Mentre i due giovani terramaricoli discorrevano, Lorenzo osservò attentamente Martis: indossava una tunica di lana, coperta di pelli color del fuoco, che facevano risaltare il suo volto delicato, quasi femminile; i suoi occhi erano così chiari che sembrava di vederci dentro il cielo di primavera, mentre i capelli erano scuri. Legati alle orecchie portava alcuni pendagli, che sembravano rappresentare animali fantastici. A’ster notò l’attenzione con cui Lorenzo scrutava quegli strani monili e gli spiegò che erano stati realizzati dal grande padre di Martis, il vecchio Mistert, considerato il miglior incisore di legno di tutti i villaggi che si trovavano fino a due giorni di cammino; aveva imparato a scolpirli dai sestert, i guerrieri delle tribù del nord, che popolavano le terre oltre le alte vette occidentali. Gli animali rappresentati nei pendagli erano stati uccisi dai loro antichi padri. Si trattava di animali alti come le grandi querce, che vivevano oltre le colline del picco dell’aquila, e che averli uccisi era considerato un grande onore, a causa del coraggio necessario per affrontarli. Con un solo morso potevano staccare il braccio o la testa di un uomo, e per vincerli occorreva essere almeno in venti tra i migliori guerrieri. Venivano cacciati per la loro carne grassa e per evitare che divorassero tutta l’erba, le piante e i piccoli totr, di cui anche gli uomini si nutrivano. Martis guardava negli occhi A’ster, e Lorenzo capì subito che era interessato a quella ragazza che raccontava storie fantastiche, ma che col suo seno già pronto per allattare e con gli occhi scintillanti gli faceva battere il cuore. Martis aveva donato ad A’ster un piccolo amuleto della fortuna a forma di sole, che suo nonno aveva fabbricato per lei. Ma il cuore di A’ster batteva per Tressir. Martis si era anche ornato con la preziosa collana dei suoi antenati; erano stati i più valorosi del villaggio e ciò rendeva il giovane più attraente, le aveva anche chiesto di andare con lui nel tempio di Darted, la dea che feconda i semi, a tre ore di cammino dal villaggio; avrebbero portato con sé i semi di coper, e chiesto alla dea un buon inverno bianco, che protegge dal freddo le nuove piantine nate da quei semi del colore del sole e permette loro di moltiplicarsi. Ma A’ster voleva andarci col ragazzo che amava, che però non l’aveva invitata ad accompagnarlo. A’ster si allontanò da Martis, la ragazza e Lorenzo ripresero la loro passeggiata tra le capanne. A’ster gli spiegò che gli uomini del villaggio erano una cinquantina, più quindici giovani tra i dodici e i sedici anni. Se un ragazzo a sedici anni superava la prova di coraggio, diventava orter (uomo) e aveva il diritto di scegliere una compagna tra le donne del villaggio; oppure poteva andare a cercarla nei villaggi vicini, ma portando in dono al padre della ragazza venti pelli e dieci otri pieni di semi di coper. Il padre poteva rifiutare o accettare l’offerta, e anche la ragazza scelta doveva dare il suo consenso, e solitamente faceva in modo che il ragazzo da lei preferito capisse il suo interessamento per lui. Lorenzo, ascoltando i racconti di A’ster e guardando attorno a sé tutte quelle scene di vita quotidiana, pensava che era sempre l’amore a guidare l’uomo e che era cambiato ben poco con lo scorrere delle generazioni. A’ster gli disse che il suo nome significava “figlia della notte più lunga”, e che si era anche toccata le guance in segno di amore davanti a Tressir, ma che lui aveva chinato la testa. A Lorenzo Tressir sembrava soltanto un ragazzo timido come lui, e consigliò ad A’ster di parlargli apertamente del suo sentimento non appena si fosse presentata l’occasione. La bellezza della ragazza probabilmente non era sufficiente a farla apparire interessante agli occhi di Tressir, forse temeva che per le sue stranezze, non fosse in grado di allevare i figli che sarebbero nati. A’ster, che leggeva nel pensiero di Lorenzo, gli spiegò che altri però la consideravano una “baciata dagli dei” per la sua capacità di dare consigli utili per superare molte difficoltà : “Tutti rimasero stupiti quando videro arrivare al villaggio l’uomo dai pugnali luccicanti. Io avevo annunciato diverse volte, quando avevo solo otto stagioni, che presto i guerrieri avrebbero avuto armi che brillano al sole, più dure e resistenti di qualsiasi pietra, e che proprio dalle pietre bruciate nel grande forno queste nuove armi sarebbero nate. Ho anche predetto che presto i giovani avrebbero abbandonato le asce e i coltelli di pietra, che richiedono giorni e giorni di lavoro prima di essere affilate e taglienti, e le avrebbero sostituite con altre, fabbricate col materiale estratto col fuoco dalle pietre rosse. I primi a portarle al villaggio furono i mercanti venuti dal paese dove il sole è sempre caldo, e le ottenemmo in cambio di pelli e pietre colorate. Erano uomini con i capelli crespi e la pelle bruciata dal sole che venivano dai territori oltre il grande lago salato, e dicevano che la loro terra si trovava tra due grandi fiumi. I guerrieri non credevano ai propri occhi quando mostravano la terribile potenza di quelle armi. Potevano abbattere un albero grosso come un braccio con solo pochi colpi, e trapassare con un colpo solo il grande maiale con le zanne, senza che si spuntassero o si piegassero”. Mentre ascoltava A’ster, Lorenzo pensò subito che si trattasse di armi di bronzo fuso; ne aveva trovato un piccolo frammento ricurvo proprio in quel terramare. Col tempo il metallo aveva assunto un colore verdastro, per la percentuale di rame che conteneva, ma appena fuso e strofinato doveva essere brillante come l’oro. Pensò anche che i portatori di quelle armi si riferissero al Tigri e all’Eufrate quando parlavano di una terra tra due grandi fiumi; Lorenzo sapeva che le popolazioni di quella zona possedevano già una civiltà avanzatissima in quel periodo. Si chiedeva se fosse possibile che i mercanti della Mesopotamia fossero già giunti in un’epoca così lontana in quel lembo di terra ai margini della pianura padana. A’ster intanto gli stava raccontando che solo mettendo insieme tutte le pelli del villaggio e almeno due vasi colmi di pietre colorate era stato possibile comprare alcuni pugnali, tre lunghi coltelli e diverse asce. Quelle armi formidabili erano state distribuite ai guerrieri più valorosi, a quelli che avevano saputo difendere le donne del villaggio quando i gortel (gli scacciati) volevano rapirle per portarle con loro. I gortel non avevano donne ed erano stati scacciati a causa di comportamenti che il Consiglio dei Saggi del villaggio riteneva sbagliati. Un tempo un gortel di nome Marfis aveva rubato tutto il raccolto di coper del villaggio vicino e aveva cercato di scambiarlo con i pesci essiccati di un villaggio lontano; ma gli abitanti di quel villaggio, informati del furto, avevano avvertito Ortes, che aveva riunito subito il Consiglio dei Saggi. Il Consiglio aveva ordinato la cacciata di Marfis, dopo averlo fatto seguire per scoprire dove teneva i preziosi semi. I gortel che avevano tentato di rapire le donne erano stati tutti uccisi, dopo essere stati inseguiti fino alla grande collina di color blu degli uomini più veloci nella corsa. Tra i guerrieri inseguitori c’era anche Attar, che da poco era diventato uomo superando la prova di coraggio. La prova consiste nell’affrontare a mani nude, provvisti solo delle corde di pelle per legarlo, il più grosso maiale selvatico con le zanne, che è chiuso nel grande recinto del villaggio. Il maiale aveva ferito Attar sulla coscia sinistra prima di essere immobilizzato; anche se perdeva molto sangue, il giovane aveva continuato a lottare con l’animale, fino a quando non era riuscito a legarlo. Attar era talmente orgoglioso della sua ferita che evidenziava il bordo della grande cicatrice con il colore rosso, come il sangue che dalla ferita era sgorgato. Ad A’ster piacevano gli occhi color del cielo nuvoloso di Attar, ma era troppo basso di statura, e in ogni caso non le faceva battere il cuore come Tressir.
Quello doveva essere un giorno speciale, perché tutti i guerrieri erano tornati al villaggio in poco tempo; avevano compiuto solo una breve perlustrazione del territorio circostante. Quando gli abitanti del villaggio sull’acqua scendevano a svolgere attività a terra, occorreva perlustrare il territorio vicino diverse volte. La raccolta della legna teneva impegnate molte donne e alcuni guerrieri le accompagnavano per evitare che fossero rapite da gortel che venivano da lontano, o che fossero attaccate dai giganteschi uomini pelosi dei boschi che camminano ritti e mangiano carne umana.
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