1985 Museo Zavattini "Il consumista"
Carlo Soricelli nasce nel 1949 in provincia di Benevento ed all'età di quattro anni si trasferisce a Bologna con la sua famiglia.
Nella tarda adolescenza Soricelli comincia a produrre i primi quadri in cui si nota un forte interesse per le problematiche legate all'ecologia ed una grande attrazione nei confronti della natura; lo si vede negli animali che ripropone spesso e negli alberi morenti che assumono sembianze umane.
Fin d'allora l'arte di Soricelli è di denuncia nei confronti di una società che sta progredendo alle spese dell'equilibrio ambientale e della giustizia sociale. Nei primi anni Settanta i soggetti delle opere diventano soprattutto figure umane legate al mondo dell'emarginazione, accattoni, raccoglitori di cartone, handicappati, anziani, ma anche lavoratori ed operai che vede ogni giorno sul posto di lavoro.
Nelle sue tele ci scontriamo con visi stanchi ed abbruttiti, solcati dalla sofferenza e dalla solitudine, con corpi pesanti che non hanno niente del bello classico, cromatismi scuri di nero, marrone, blu, mai decorativi. Non c'è speranza, né si allude a qualche possibilità di riscatto, ma troviamo una costante messa in visione di tutto ciò che normalmente siamo portati ad evitare perché disturbante.
Questa pittura, che giunge immediata ed essenziale, è spesso associata al filone dell'arte Naïve, quella di grandi come Ligabue, Covili, Ghizzardi. Infatti, a partire dall'84, Soricelli inizia ad esporre alla Rassegna di Arti Naïves ospitata presso il Museo Nazionale "Cesare Zavattini" di Luzzara a Reggio Emilia, dove riceve vari riconoscimenti tra cui il titolo di Maestro d'arte.
All'inizio degli anni Ottanta l'artista bolognese realizza le prime opere di scultura, ulteriore ed efficace veicolo espressivo del suo messaggio; è del 1985 Il Consumista, scultura emblematica in cui una creatura umana mostruosa, vestita di ritagli di spot e slogan pubblicitari, sta divorando se stesso ed ancora, del 1989, Il Comunicatore, ironica e brutale visione Orwelliana.
Già dai primi anni Ottanta Soricelli propone il tema degli angeli e lo elabora a suo modo; l'angelo è l'escluso, prima schiacciato e deformato, ora alleggerito da un paio d'ali che garantiscono una dignitosa speranza, non tanto con l'intento di avvicinare al sovrannaturale, ma al contrario per riportare l'esistenza ad un'unica dimensione Umana.
Negli ultimi anni Soricelli sta anche lavorando a quella da lui definita Arte Pranica, che consiste nella visualizzazione dell'energia comune a tutti gli esseri viventi allo scopo di produrre effetti benefici per mente e corpo, soprattutto attraverso l'uso di colori accesi e stridenti. Lo scorso anno un'importante opera di pittura, in cui Soricelli si ritrae nelle vesti di cavaliere pranico, è stata acquistata dal Museo Zavattini.
Soricelli espone dal 1976 con circa una cinquantina di mostre, tra cui quelle al Palazzo Re Enzo di Bologna nel 1986, alla Festa Nazionale dell'Unità di Reggio Emilia insieme a Cesare Zavattini nel 1995, e presso Palazzo d'Accursio a Bologna nel 1996. Ha esposto con prestigiose mostre in Francia, Germania, Unione Sovietica, Grecia e Jugoslavia. Nel 1997 ha pubblicato un libro dal titolo Maruchèin, con prefazione di Pupi Avati, in cui ha raccontato le sue esperienze di bambino meridionale emigrato al Nord negli anni Cinquanta. Nel 2001 ha pubblicato il suo secondo libro “Il Pitto” con prefazione della Prof.sa Maria Falcone.
PENSIERI LIBERI E SFUSI
Introduzione
Con “pensieri liberi e sfusi” ho voluto raccogliere, nel corso di questi ultimi anni, pensieri che mi passavano per la testa senza nessuna ragione particolare, oppure ragionamenti fatti sulla base di situazioni che ho vissuto in prima persona o delle quali sono venuto a conoscenza. Ho voluto fermare, nella memoria del mio computer, anche cose che mi sono state raccontate e che mi hanno colpito. Ogni uomo o donna, anche quelli che all’apparenza sembrano conducano vite semplici e poco significate, hanno realtà così complesse e ricche di eventi che non basterebbero i volumi di un’intera enciclopedia per descriverli tutti. Ciascuno di noi è una miniera inesauribile di vita e sarebbe bello se tutti potessimo fermare per l’eternità il nostro vissuto, quello che ciascuno di noi considera più interessante. Nessuno si può arrogare il diritto di giudicare se siano esperienze poco interessanti quelle vissute da un'altra persona, non ne ha vissuto le emozioni ne l’intensità. Avremmo una visione molto diversa della storia se avessimo testimonianze di vita di persone comuni vissute nel passato, del suo modo d’interpretare la realtà, per esempio di uno schiavo egizio che erigeva le piramidi, di una donna etrusca, di un soldato romano al momento del congedo per vecchiaia, di una locandiera medievale o di un giovane italiano emigrato un secolo fa in America. Quante miliardi di stipate biblioteche si sono disperse senza poterle consultare!.
Il computer è uno strumento formidabile per memorizzare e fissare nel tempo spicchi di vita vera, io ho cominciato da poco e continuerò a farlo senza preoccuparmi di apparire eventualmente noioso.
Non so perché proprio questa mattina mi è presa una voglia irrefrenabile di scrivere, eppure in questi giorni di ferie avrei tanti desideri da realizzare. Vorrei fare un grande quadro sulla manifestazione di Genova. Vorrei farne un altro che sintetizzi quello che penso dei "Canti Orfici" di Campana, da utilizzare per la mostra che farò a Imola.
In questo periodo mi sono “intrippato” con l’istinto. Sono sempre più convinto che quella che chiamiamo intelligenza la mettiamo al servizio dei nostri istinti. Ma quale istinto voglio appagare in questo momento? Non lo so. Forse non è quello della trasmissione dei geni, ma di quello che pensi. E' un modo per “eternizzarsi”? Chissà forse è il desiderio di lasciare qualcosa che rimanga più di un quadro. Del resto se riesci a scrivere qualcosa d'interessante è meglio che fare un bel quadro. E' dipinto meglio e riesci ad articolarlo più facilmente. E' forse vero quello che pensavano gli antichi fenici: proprio questa mattina su "Repubblica" c'è qualcosa su di loro e su Annibale e Cartagine. Nella loro cultura piangevano quando uno nasceva e gioivano quando uno moriva: così smetteva di soffrire. Quando uno nasceva sapevano che avrebbe sofferto, indipendentemente da chi era e da ciò che cosa avrebbe fatto nella vita. E' un pensiero capovolto rispetto a quello che abbiamo ereditato dalla nostra cultura. E forse avevano ragione loro. Più profondi nell'essenza della vita.
Questa domenica mattina sono andato dal mio amico Napoleone un po’ più tardi. Di solito arrivo quando lui e i suoi amici bevono il solito aperitivo. Napoleone stava già mangiando. Mangia molto presto, dopo aver già lavorato parecchie ore, nonostante la sua età, che però non so quale sia di preciso. Deve già aver parecchi anni, perché parla sempre di episodi della guerra o lontani nel tempo. Ultimamente Napoleone riceve sempre delle stilettate al cuore, lui uomo di sinistra ideale, vede tutto il suo mondo crollargli addosso. Mi interroga in continuazione sulla fabbrica e su come la penso dell'attuale situazione e sul mio scetticismo, quando ventila l'ipotesi di Cofferati segretario dei DS. Gli dico che sarebbe meglio che i sindacalisti facessero i sindacalisti, e che Lama, Del Turco, Marini, D’Antoni e tutti gli altri non dovevano entrare in politica. D’Antoni però ha fatto male i suoi conti, credeva di superare la soglia del 4%, invece non ce l’ha fatta, e ciò mi ha fatto molto piacere, poi si è visto con chi si vuole schierare. Napoleone si prende il solito colpo al cuore, mentre suo fratello mi dà ragione. Gli altri amici annuiscono. C'è anche uno che è stato capo officina e parla dei due ragazzi che aveva licenziato una decina d'anni fa, perché erano arrivati in ritardo di un quarto d'ora. E diceva che era stato iscritto al Partito Comunista e alla CGIL ma, quando il sindacato aveva fatta un'assemblea a difesa di quei due ragazzi, lui era intervenuto dicendo che stracciava la tessera. Ma?! La scusa per licenziarli è stato un ritardo di 15 minuti, erano poi due lavativi davvero o erano solo due persone che si volevano far rispettare? Avrei voluto sentire la loro versione (questo lo penso solamente). Quanto siamo pieni di contraddizioni noi di sinistra: spesso abbiamo dei comportamenti che la destra ci fa un baffo. Del resto è meglio che non giudichi, mi contraddico tutti i giorni. Vedo spesso gli sguardi delusi dei miei figli quando vedono o sentono cose diverse da quelle che si aspettano da me. Ma com'è che il comportamento è sempre diverso tra quello che pensi e quello che fai? Discutiamo anche di Giovanni Berlinguer che, apprendiamo dai giornali, si candida in contrapposizione a Fassino per la Segreteria dei DS. Tutti siamo d'accordo che sia un personaggio valido, che è una persona seria, un po’ anziana ma che per gestire il periodo di transizione del partito sia l’uomo più adatto. Il fratello di Napoleone ed io siamo convinti che non ce la farà ad essere eletto, perché l'apparato del partito voterà Fassino e così sarà la fine, anche per l'apparato, perché non dovranno più “apparare” nessuno. Ci domandiamo anche in che mondo vivono: è possibile che non si rendono conto dell’incazzo che c’è tra i lavoratori che non si sentono più rappresentati da nessuno? Un partito non può abbandonare una cultura sedimentata in un secolo di lotte. Per andare dove? Sulla barca di D'Alema? Con l'americanismo di Veltroni? Io e il fratello di Napoleone diciamo che anche Cofferati, adorato da Napoleone, è responsabile di questa situazione, che per mantenere l’unità ha subito la linea degli altri sindacati. Non è un caso, dico io, mentre mangio una fetta di salame piccante preso dal piatto di Napoleone, il quale mi offre anche un bicchiere di vino misto a Campari, che quando hanno sciolto il PCI nessun funzionario dell’apparato politico-sindacale è andato con Rifondazione: Rifondazione, si è visto anche alle ultime elezioni, ha preso sempre un terzo dei voti del PDS. Possibile che nessuno di questi funzionari la pensasse come quel terzo di elettori che hanno votato quel partito? Il fratello di Napoleone annuisce ancora col capo. Napoleone sta in silenzio: quand'è così è per lo meno perplesso. Napoleone è stato zitto anche in un'altra occasione, quel giorno, stava ancora molto male, erano appena passati pochi giorni dalla sconfitta storica della sinistra a Bologna e discuteva amaramente con alcuni clienti dell'evento, quando sentì una voce che lo chiamava:- “ Compagno Napoleone! compagno Napoleone!”.
Si girò e chi vide? Il nuovo sindaco Giorgio Guazzaloca che sorridente lo era venuto a trovare (e a mangiare). Napoleone da vent'anni, il giorno della Befana offre un pranzo gratuito ai poveri della città; aveva provato a far dialogare, invitandoli a pranzo, il nuovo Sindaco e la sua sfidante Bartolini, ma ho visto che più di un saluto e un dialogo formale non c'è stato. Mentre gli “frego” dal piatto un pezzo di salsiccia, poi due olive, dico che è tutto colpa degli apparati, veri cancri degli ideali. Napoleone dice che è molto contento per Berlinguer, anche perché è un grosso scienziato, che studia le pulci. In questo momento è molto importante sapere delle pulci, visto che stanno ammazzando un mucchio di persone. O sono le zecche? Suo fratello, di cui non conosco il nome, annuisce anche su questo. Sono ben orgoglioso quando il capofficina, quello dei licenziamenti, mi chiama per ben due volte maestro. Di quel titolo conquistato sul campo, che mi ha dato il museo Zavattini, sono ben contento. E’ già ora di andare a mangiare, saluto tutti e vado a casa. A mia moglie dico che ho fatto uno spuntino da Napoleone e che mangerò poco. Ma quando mi dice che ha fatto la sua straordinaria pasta al forno e vedo che nel piatto me ne ha messa pochissimo, m'incazzo reclamando il mio solito piatto abbondante, con la promessa che dopo non mangerò più niente. A parte due o tre pesche.
Anche durante questa Befana del 2001 al pranzo dei poveri da Napoleone, c’era il sindaco Giorgio Guazzaloca che sembra tornato fisicamente in forma. Napoleone, nel posto dove doveva sedersi per mangiare, gli ha fatto trovare una copia dell’Unità. Al tavolo con Guazzaloca c’era Carlo Sassi, già assessore nella precedente giunta di sinistra, e come al solito parlavano amabilmente. Napoleone ha detto a Guazzaloca d’andare con lui, che gli avrebbe fatto conoscere i Senza Dimora che così l’avrebbero votato. Guazzaloca gli ha risposto: - “Presentali a Sassi: è lui che ha bisogno di voti”. Finito il pranzo è arrivato Gianni Morandi che ha salutato il sindaco di Bologna poi è andato a cantare. Ha cantato diverse canzoni coinvolgendo emotivamente quel pubblico fatto esclusivamente di poveri senza casa. Gianni Morandi è stato proprio fantastico e alla mano. Fa anche invidia, ha cinque o sei anni più di me e ne dimostra venti di meno. Sembra che per lui il tempo non passi mai. Ma Ida, la compagna di Zap il vignettista, mi ha detto che è uno che si tiene sempre a “bolla”. Mangia pochissimo e fa sempre una grande attività fisica. Mi ha detto che ha sentito il figlio di Morandi raccontare che suo padre mangia solo miglio. Se quelli sono i risultati fa proprio bene. Io mi propongo sempre di mettermi a dieta, ma lo penso sempre dopo aver fatto una gran mangiata.
E’ arrivato anche quest’anno il Pratico, operaio incompreso che ha tentato il suicidio diverse volte. Tutte le volte che mi vede sembra che abbia visto chi sa chi, mi sembra di essere un attore del cinema.
Mi dice che si è licenziato dalla fabbrica in cui lavorava da tredici anni. Mentre il Pratico parlava, la sua compagna mi diceva di convincerlo a chiedere se lo riprendevano a lavorare. Mentre mi diceva quelle cose mi sussurrava con angoscia in un orecchio: “Per me è matto e poi mi picchia. Sta tutto il giorno attaccato al computer a scrivere cose incomprensibili”. Alla fine mi ha implorato di dirgli di cercare di farsi riassumere, perchè non sapevano come fare ad andare avanti. Io al Pratico gliel’ho detto, ma lui dice che in quella fabbrica lo trattavano male, che era tredici anni che sopportava quella gente incolta, senza sentimenti e che il suo capo gli chiedeva che cosa ci stesse a fare al mondo. Il Pratico è senz’altro una persona che ha dei problemi, ma se solo ci fossero un po’ di sentimenti e di comprensione, a mio parere sarebbe una persona molto buona e capace. Gli ho detto che a lavorare occorre andarci e che un uomo che non lavora non ha dignità e non lo rispetta nessuno. Per un attimo pensavo di aver fatto breccia, ma poi subito è tornato a dire che lo hanno sempre trattato malissimo.
Povero Pratico, che non riesce fino in fondo a comprendere le cattiverie e la mancanza di sensibilità da parte della società verso chi esce dagli schemi. Ho letto attentamente la lettera che mi ha dato e che ha mandato alla ditta dove lavorava: quanta energia e acutezza sprecata! La farei leggere a tutti per far capire che livello di sofferenza può raggiungere una persona sola, incompresa e poco amata.
E’ passato di fianco al nostro tavolo una persona che ha salutato Zap. Zap ironico gli ha detto che avevano allontanato dal governo uno come Ruggero e che era l’unica persona decente che avevano, questi gli ha risposto sgarbatamente che era uno di loro, un infiltrato della sinistra e che quindi potevano riprenderselo, poi è andato a salutare Guazzaloca. Ho chiesto a Zap chi era quel tipo: mi ha risposto che era uno di destra. Si è riavvicinato un’altra volta al tavolo, mi ha guardato e mi ha detto: “Ciao Carlo”. Ida e Zap si sono messi a ridere: “Bravo - mi hanno detto – “begli amici che hai”. Ho cercato di ricordarmi chi fosse e dove l’avessi incontrato, ma proprio non mi è venuto in mente.
Oggi è sabato pomeriggio 12 gennaio 2002, è l’unico giorno in cui riesco a farmi un pisolino nel pomeriggio, sono circa le tre e mi alzo, mi affaccio nella camera dei ragazzi e vedo Lorenzo assorto mentre guarda la trasmissione di Maria De Filippi “Saranno famosi”. Mio figlio dice più di una volta “ma come son messi”. Guardo la De Filippi che molto seriamente, rimprovera un ragazzo di colore con i capelli rossi, tinti così perché è tifoso della Roma. La De Filippi dice che un suo amico le ha detto che è stato lui, e che da lui non se lo sarebbe mai aspettato. Maria De Filippi è molto seria, ho pensato che quel ragazzo avesse combinato chi sa che cosa. Lui, il ragazzino che avrà 17 o 18 anni, è molto serio e contrariato, le chiede di poter parlare. Lei continua ad accusarlo. “Proprio tu, non me lo sarei mai aspettato, non so neanche perché ci rimango così male, forse perché ti voglio bene”……. Chissà cos’ha fatto quel ragazzo, avrà stuprato una donna per strada, borseggiato una vecchietta o chissà cos’altro. Lei ripete di continuo che da lui che conosceva bene non se lo sarebbe mai aspettato. Incuriosito vado in sala e accendo il televisore grande, mi siedo e aspetto le motivazioni dell’incazzamento della De Filippi. Ma per dieci minuti non lo dice e continua con la sua tiritera moralista. Incazzato, anche perché voglio andare giù a dipingere, vado in camera dai miei figli e chiedo loro che cosa ha combinato quel ragazzo. Lorenzo mi risponde: “E’ una “cazzata” e torna a dire “Ma come cazzo son messi”. E così non riesco ancora a sapere niente. Mi altero e allora si decidono a parlare. La De Filippi, mi dicono, si è arrabbiata con quel ragazzo di colore perché è stato lui il promotore del rifiuto d’indossare la maglia con la scritta “Saranno famosi” in trasmissione. Cazzo cos’ha combinato! Mi prende una grande angoscia. Ma come cazzo siamo messi in questo paese, a che degenerazione mentale e morale siamo arrivati. Che moralità stiamo insegnando ai nostri ragazzi con trasmissioni di questo genere? Lei poi fa finta d’inseguire quei ragazzi che sono usciti dallo studio simulando di non sapere d’essere ripresa. Continua così il suo rimprovero, con lui che cerca di giustificarsi. Ma come cazzo siamo messi! Con trasmissioni come questa stanno intaccando la moralità e l’equilibrio mentale dei giovani, dei nostri ragazzi: altro che film violenti! Nel frattempo mettono gli spot pubblicitari. Trasmissioni come queste traviano i nostri giovani più che se guardassero scene pornografiche in diretta.
Guardando la De Filippi mi accorgo di quanto sia attuale la mia scultura “Il consumista”. Questa gente, più o meno consapevolmente, con la televisione ha indotto le persone a non pensare, perchè contano solo in funzione di quel che consumano. Basta vedere come ragionano quelli più superficiali, quelli che non leggono i giornali e che culturalmente sono più fragili. Parlano e pensano alla stessa maniera dei loro dominatori televisivi senza nessuna riflessione critica. Quando i miei ragazzi erano bambini, all’avvento delle televisioni commerciali ho fatto tutto il possibile per non fargli vedere quella tv, ho cercato di resistere ad ogni costo all’omologazione consumista, ma tutti i giorni dovevo litigare con mia moglie perché i ragazzi volevano vedere quel tipo di programmi. Non c’è stato niente da fare: il grande fratello ha vinto. Anche in casa mia. Ma non del tutto. Ogni tanto riusciamo anche ad indignarci per certe situazioni politiche e sociali che cercano di propinarci come le migliori. Ripenso anche alla mia scultura, “Orwell era in anticipo, Il Comunicatore” del 1992.
I miei figli si lavano in continuazione, fanno il bagno o la doccia più volte al giorno, a me sembra un’esagerazione, sia per i costi che per lo spreco di risorse e l’inquinamento con gli shampoo ed i saponi. Io devo fare una confessione che di questi tempi pochi osano fare, mi lavo solo lo stretto necessario. Sono d'accordo con Pratesi e faccio come lui il bagno solo una volta alla settimana e gli altri giorni mi lavo normalmente, sotto le ascelle e nelle parti intime. Sarà perché mi sembra uno spreco intollerabile consumare tanta acqua e l’energia in questi tempi di spreco delle risorse e, in fondo, mi piace avere addosso quel leggero odore di sudore che mi fa sentire un poco animale. Siamo diventati tutti asettici, non sappiamo più cos’è un vero odore naturale. E un po’ di odore naturale mi piacerebbe sentirlo anche addosso alle donne, più di quel profumo forte, così poco naturale, con cui spesso si cospargono. E’ molto bello far l’amore dopo essersi stancati e aver fatto insieme una bella sudata, soprattutto dopo essere stati in mezzo ai boschi per ore e si è impregnati oltre che dai propri odori anche da quelli della natura. Per me è un richiamo irresistibile dei sensi.
Oggi pomeriggio ho lavorato con la creta e ho modellato un bellissimo cane da caccia e, non so perché, i miei pensieri vanno a John Cervone. Per John e la sua famiglia americana ho scritto prima la poesia e poi una canzone: e’ quella che chiude il libro “Il Pitto”. Io ho scritto le parole e un mio amico musicista, l’ha cantata e musicata. Toni ha una voce stupenda, gli ho chiesto di cantarla e musicarla all’antica, con i mandolini che l’accompagnano proprio per rendere l’atmosfera di un secolo fa. “Un canto dall’Italia” è ambientata all’inizio del “900 e l’ho scritta in seguito ad un racconto di mio fratello Antonio che, dopo una vita passata in giro per l’Italia come maresciallo dei carabinieri, una volta andato in pensione è tornato a Benevento. E’ voluto tornare a vivere per un lungo periodo dell’anno nella terra dove è nato e vissuto fino a 18 anni ( anche lui come i miei genitori, sempre su e giù, per le quattro figlie tutte sposate a Bologna). Mio fratello mi ha raccontato che un giorno si trovava in un negozio di San Giorgio del Sannio quando sentì alle spalle un signore maturo che, con accento straniero e in un italiano molto approssimativo, chiedeva della famiglia Soricelli. Mio fratello gli disse di essere un Soricelli. Quel signore gli raccontò che veniva dagli Stati Uniti d’America e che, prima di morire, voleva visitare i luoghi di provenienza della sua famiglia; disse di chiamarsi John Cervone e che cercava i discendenti di una certa Giuseppa Cervone, sorella di suo padre Domenico, che aveva sposato un Soricelli all’inizio del secolo scorso. Giuseppa Cervone era mia nonna. Mio fratello ha accompagnato John a Cesine, la nostra contrada di provenienza, dove nonna Cervone ha sempre vissuto dopo sposata. Antonio l’ha portato da mia cugina, nella casa dove i nostri padri e nonni sono vissuti. Mia cugina fu molto gentile e disponibile e lo fece accomodare nella sala da pranzo di casa. Quando John entrò rimase come paralizzato, con mano tremante tirò fuori una fotografia dalla giacca; era la stessa foto che mia cugina aveva sul comò della sala. Era quella che nonna Giuseppa e nonno Saverio avevano fatto fare poco dopo essersi sposati, nel 1904, e che avevano mandato al fratello della nonna in America. John si era tanto commosso che aveva il viso coperto di lacrime, sembrava che il tempo si fosse fermato: dopo quasi cento anni di separazione aveva ritrovato i parenti italiani.
Con John sono in contatto tramite Internet, mi ha mandato le foto della famiglia e dei discendenti di suo nonno che sono diverse centinaia. I Cervone americani ogni anno fanno un raduno; nelle foto della loro famiglia ci sono tante persone diverse, biondi, mori e anche di colore.
E’ una vicenda che mi ha commosso molto ed è per questo che ho deciso di scrivere quella poesia che poi è diventata la canzone “Un canto dall’Italia”.
Sono molto affascinato da Dino Campana. Mi affascina quel passaggio in cui dice "SOTTO LE STELLE IMPASSIBILI, SULLA TERRA INFINITAMENTE DESERTA E MISTERIOSA, DALLA SUA TENDA L'UOMO LIBERO TENDEVA LE BRACCIA AL CIELO INFINITO NON DETURPATO DALL'OMBRA DI NESSUN DIO." Quanta drammatica poesia, quanta sconvolgente verità. L'uomo libero dai condizionamenti di un Dio, da Dei vendicatori che ci terrorizzano con vite eterne, inferni e paradisi. Libero da istituzioni secolari che spesso hanno smarrito il significato profondo della loro appartenenza. Campana mi costringe a ritrovare l'essenza stessa della vita, della nostra libertà temporale, dell'appartenenza alla terra, madre della vita biologica. Mi costringe a valutare la vita senza intrusioni religiose. Tornare ad appartenere all'aria, alla luce, al sangue antico rigenerato di volta in volta solo da un grande atto d'amore materiale. Appartenere alla giusta fine eterna. Mi chiedo, perché mai dovrebbe esserci un Dio a noi somigliante? Perché poi si butterebbe così in basso? Che bello e affascinante il corpo senza più vita, che da involucro vuoto mi sussurra “FATE QUELLO CHE VI PARE, IO HO GIA' DATO. E BASTA PER SEMPRE”. E' quello che ho pensato quando ho visto la zia di mia moglie, morta, nel piccolo obitorio dell'ospedale di Porretta Terme. Ero affascinato dalla sua immobilità, nella dolcezza di una morte liberatrice di ansie e angosce. E così che vorrei morire, e per sempre. Il vero dramma è quando muore un giovane, è veramente terribile e ingiusto, non sappiamo cosa avrebbe dato e avuto, è terribile anche perché, non avendo procreato, interrompe una rigenerazione che si sussegue, con l'amore, dall'origine dell'uomo.
Vorrei che le mie ceneri fossero disperse e mai più raccolte. Vorrei che un po’ della mia polvere contribuisse a generare altra vita, animale o vegetale non ha importanza, che servisse per nutrire altri esseri che verranno dopo. Questo non per disprezzo della vita, ma proprio per un grande amore verso di essa.
Mio fratello ha il terrore di morire prima di sua moglie; ha paura che lei, come gli dice spesso, lo faccia cremare, togliendogli la più piccola possibilità un domani di resuscitare.
Il grande pittore viareggino Lorenzo Viani diceva della follia: "La follia è un luogo sterminato che riesce a fermare anche le saette “.
Non accetto morti violente, causate da guerre o da incidenti stradali. Perché non vengono prese decisioni drastiche: mettere nelle sere a maggior rischio il limite di velocità a 80 all’ora?
Non accetto nemmeno la morte a 23 anni di Carlo Giuliani, come mai non ci rendiamo conto di quanto è importante la vita di un giovane? La morte di un ragazzo è la cosa più terribile che possa patire una famiglia e tutta una società.
Io mi sento di dire che gli Dei degli antichi, erano molto vicini agli uomini, alla natura e alle debolezze umane. Il nostro Dio, lontano e concettuale, invece di aiutarci a vivere meglio ci mette continuamente limiti e angosce. Lo so, quando avrò difficoltà e paura di morire, mi raccomanderò al Dio che mi hanno insegnato, ma lo farò solo per debolezza e vigliaccheria. Perché abbiamo paura della morte? Anche questa paura è stata voluta per controllarci? Oppure è frutto dell'evoluzione biologica che ci costringere ad averla per la sopravvivenza della specie?
Urlo al cielo
Un urlo di rabbia arriva fino al cielo
urlo contro Dio
Se esiste
e se non esiste perché urlo al cielo?
L’animale non sa di dover morire
Ma è vero?
Per questo esiste solo Dio o il Nulla?
Solo perché gli animali non sanno di dover morire?
Siamo nell’universo soli e senza Dio
che privilegio maledetto è questo
essere consapevoli di esser soli e senza Dio
o con un Dio che ti vuole perfetto come lui
e che ci umilia perché non ce lo permette.
Urlo contro il cielo
ma è lì Dio?
E perché sta sempre così in alto
e non scende in mezzo a noi?
Ci faccia vedere quanto è buono e generoso
salvi qualche bambino che di fame sta morendo
aiuti qualche vecchio che è solo e abbandonato
ci avverta quando qualcosa di tragico sta per accadere
si sporchi anche Lui le mani di concretezza.
Ma no, Lui non può, Lui è Dio
Lui c’è ma non si vede e sta lassù
mi lascia però libero di urlare da solo contro il cielo.
Io sono per la trasmissione per via matriarcale del cognome, questo per dare un giusto riconoscimento alle donne che mettono al mondo i figli e poi perché, come tutti sapete, la moglie di Bossi è siciliana e si chiama Marrone.
Ve li immaginate i figli di Bossi che vengono chiamati Marrone (un cognome tipicamente meridionale)?
Al più piccolo, oltre che bagnarlo con un’ampolla piena d’acqua del Po, gli ha voluto anche mettere il nome Eridanio (come gli antichi chiamavano quel fiume: non so se erano i suoi amati Celti). Quando incontreranno Eridanio, l’annuseranno in continuazione: con tutto quello che buttano in quel povero fiume… Questi padroncini padani, sempre così impegnati a fare fabbrichette, da Milano in giù fino al Po, non sono riusciti a fare nemmeno un depuratore.
Immaginatevi la scena: tra una ventina d’anni, ci sarà una lotta per la successione di Bossi che continuerà a proclamare la liberazione della Padania per l’anno successivo; la lotta sarà tra il figlio di Bossi, Marrone e Roberto Maroni già vecchio e canuto che aspetta ancora l’eredità bossiana . Marrone dirà che ne ha uno solo, ma molto grosso e duro perché è figlio del capo e con due erre per dargli più consistenza. E poi è molto prolifico come solo i siciliani sanno esserlo. Maroni ribatterà dicendo che la dirigenza della Lega spetta a lui perché anche se i suoi sono piccoli e leggeri (maroni) ne ha tanti: se li è fatti fare in serie da un suo amico che ha una fabbrica nella Brianza.
Dai leghisti veneti poi esigo il massimo rispetto e come fanno di solito loro quando si rivolgono ad un capo mi rispondano “Comandi” visto che, come ho scritto nel libro “maruchein”, discendo da un Doge, un certo Soranzo.
Carlo Soricelli nasce nel 1949 in provincia di Benevento ed all'età di quattro anni si trasferisce a Bologna con la sua famiglia.
Nella tarda adolescenza Soricelli comincia a produrre i primi quadri in cui si nota un forte interesse per le problematiche legate all'ecologia ed una grande attrazione nei confronti della natura; lo si vede negli animali che ripropone spesso e negli alberi morenti che assumono sembianze umane.
Fin d'allora l'arte di Soricelli è di denuncia nei confronti di una società che sta progredendo alle spese dell'equilibrio ambientale e della giustizia sociale. Nei primi anni Settanta i soggetti delle opere diventano soprattutto figure umane legate al mondo dell'emarginazione, accattoni, raccoglitori di cartone, handicappati, anziani, ma anche lavoratori ed operai che vede ogni giorno sul posto di lavoro.
Nelle sue tele ci scontriamo con visi stanchi ed abbruttiti, solcati dalla sofferenza e dalla solitudine, con corpi pesanti che non hanno niente del bello classico, cromatismi scuri di nero, marrone, blu, mai decorativi. Non c'è speranza, né si allude a qualche possibilità di riscatto, ma troviamo una costante messa in visione di tutto ciò che normalmente siamo portati ad evitare perché disturbante.
Questa pittura, che giunge immediata ed essenziale, è spesso associata al filone dell'arte Naïve, quella di grandi come Ligabue, Covili, Ghizzardi. Infatti, a partire dall'84, Soricelli inizia ad esporre alla Rassegna di Arti Naïves ospitata presso il Museo Nazionale "Cesare Zavattini" di Luzzara a Reggio Emilia, dove riceve vari riconoscimenti tra cui il titolo di Maestro d'arte.
All'inizio degli anni Ottanta l'artista bolognese realizza le prime opere di scultura, ulteriore ed efficace veicolo espressivo del suo messaggio; è del 1985 Il Consumista, scultura emblematica in cui una creatura umana mostruosa, vestita di ritagli di spot e slogan pubblicitari, sta divorando se stesso ed ancora, del 1989, Il Comunicatore, ironica e brutale visione Orwelliana.
Già dai primi anni Ottanta Soricelli propone il tema degli angeli e lo elabora a suo modo; l'angelo è l'escluso, prima schiacciato e deformato, ora alleggerito da un paio d'ali che garantiscono una dignitosa speranza, non tanto con l'intento di avvicinare al sovrannaturale, ma al contrario per riportare l'esistenza ad un'unica dimensione Umana.
Negli ultimi anni Soricelli sta anche lavorando a quella da lui definita Arte Pranica, che consiste nella visualizzazione dell'energia comune a tutti gli esseri viventi allo scopo di produrre effetti benefici per mente e corpo, soprattutto attraverso l'uso di colori accesi e stridenti. Lo scorso anno un'importante opera di pittura, in cui Soricelli si ritrae nelle vesti di cavaliere pranico, è stata acquistata dal Museo Zavattini.
Soricelli espone dal 1976 con circa una cinquantina di mostre, tra cui quelle al Palazzo Re Enzo di Bologna nel 1986, alla Festa Nazionale dell'Unità di Reggio Emilia insieme a Cesare Zavattini nel 1995, e presso Palazzo d'Accursio a Bologna nel 1996. Ha esposto con prestigiose mostre in Francia, Germania, Unione Sovietica, Grecia e Jugoslavia. Nel 1997 ha pubblicato un libro dal titolo Maruchèin, con prefazione di Pupi Avati, in cui ha raccontato le sue esperienze di bambino meridionale emigrato al Nord negli anni Cinquanta. Nel 2001 ha pubblicato il suo secondo libro “Il Pitto” con prefazione della Prof.sa Maria Falcone.
PENSIERI LIBERI E SFUSI
Introduzione
Con “pensieri liberi e sfusi” ho voluto raccogliere, nel corso di questi ultimi anni, pensieri che mi passavano per la testa senza nessuna ragione particolare, oppure ragionamenti fatti sulla base di situazioni che ho vissuto in prima persona o delle quali sono venuto a conoscenza. Ho voluto fermare, nella memoria del mio computer, anche cose che mi sono state raccontate e che mi hanno colpito. Ogni uomo o donna, anche quelli che all’apparenza sembrano conducano vite semplici e poco significate, hanno realtà così complesse e ricche di eventi che non basterebbero i volumi di un’intera enciclopedia per descriverli tutti. Ciascuno di noi è una miniera inesauribile di vita e sarebbe bello se tutti potessimo fermare per l’eternità il nostro vissuto, quello che ciascuno di noi considera più interessante. Nessuno si può arrogare il diritto di giudicare se siano esperienze poco interessanti quelle vissute da un'altra persona, non ne ha vissuto le emozioni ne l’intensità. Avremmo una visione molto diversa della storia se avessimo testimonianze di vita di persone comuni vissute nel passato, del suo modo d’interpretare la realtà, per esempio di uno schiavo egizio che erigeva le piramidi, di una donna etrusca, di un soldato romano al momento del congedo per vecchiaia, di una locandiera medievale o di un giovane italiano emigrato un secolo fa in America. Quante miliardi di stipate biblioteche si sono disperse senza poterle consultare!.
Il computer è uno strumento formidabile per memorizzare e fissare nel tempo spicchi di vita vera, io ho cominciato da poco e continuerò a farlo senza preoccuparmi di apparire eventualmente noioso.
Non so perché proprio questa mattina mi è presa una voglia irrefrenabile di scrivere, eppure in questi giorni di ferie avrei tanti desideri da realizzare. Vorrei fare un grande quadro sulla manifestazione di Genova. Vorrei farne un altro che sintetizzi quello che penso dei "Canti Orfici" di Campana, da utilizzare per la mostra che farò a Imola.
In questo periodo mi sono “intrippato” con l’istinto. Sono sempre più convinto che quella che chiamiamo intelligenza la mettiamo al servizio dei nostri istinti. Ma quale istinto voglio appagare in questo momento? Non lo so. Forse non è quello della trasmissione dei geni, ma di quello che pensi. E' un modo per “eternizzarsi”? Chissà forse è il desiderio di lasciare qualcosa che rimanga più di un quadro. Del resto se riesci a scrivere qualcosa d'interessante è meglio che fare un bel quadro. E' dipinto meglio e riesci ad articolarlo più facilmente. E' forse vero quello che pensavano gli antichi fenici: proprio questa mattina su "Repubblica" c'è qualcosa su di loro e su Annibale e Cartagine. Nella loro cultura piangevano quando uno nasceva e gioivano quando uno moriva: così smetteva di soffrire. Quando uno nasceva sapevano che avrebbe sofferto, indipendentemente da chi era e da ciò che cosa avrebbe fatto nella vita. E' un pensiero capovolto rispetto a quello che abbiamo ereditato dalla nostra cultura. E forse avevano ragione loro. Più profondi nell'essenza della vita.
Questa domenica mattina sono andato dal mio amico Napoleone un po’ più tardi. Di solito arrivo quando lui e i suoi amici bevono il solito aperitivo. Napoleone stava già mangiando. Mangia molto presto, dopo aver già lavorato parecchie ore, nonostante la sua età, che però non so quale sia di preciso. Deve già aver parecchi anni, perché parla sempre di episodi della guerra o lontani nel tempo. Ultimamente Napoleone riceve sempre delle stilettate al cuore, lui uomo di sinistra ideale, vede tutto il suo mondo crollargli addosso. Mi interroga in continuazione sulla fabbrica e su come la penso dell'attuale situazione e sul mio scetticismo, quando ventila l'ipotesi di Cofferati segretario dei DS. Gli dico che sarebbe meglio che i sindacalisti facessero i sindacalisti, e che Lama, Del Turco, Marini, D’Antoni e tutti gli altri non dovevano entrare in politica. D’Antoni però ha fatto male i suoi conti, credeva di superare la soglia del 4%, invece non ce l’ha fatta, e ciò mi ha fatto molto piacere, poi si è visto con chi si vuole schierare. Napoleone si prende il solito colpo al cuore, mentre suo fratello mi dà ragione. Gli altri amici annuiscono. C'è anche uno che è stato capo officina e parla dei due ragazzi che aveva licenziato una decina d'anni fa, perché erano arrivati in ritardo di un quarto d'ora. E diceva che era stato iscritto al Partito Comunista e alla CGIL ma, quando il sindacato aveva fatta un'assemblea a difesa di quei due ragazzi, lui era intervenuto dicendo che stracciava la tessera. Ma?! La scusa per licenziarli è stato un ritardo di 15 minuti, erano poi due lavativi davvero o erano solo due persone che si volevano far rispettare? Avrei voluto sentire la loro versione (questo lo penso solamente). Quanto siamo pieni di contraddizioni noi di sinistra: spesso abbiamo dei comportamenti che la destra ci fa un baffo. Del resto è meglio che non giudichi, mi contraddico tutti i giorni. Vedo spesso gli sguardi delusi dei miei figli quando vedono o sentono cose diverse da quelle che si aspettano da me. Ma com'è che il comportamento è sempre diverso tra quello che pensi e quello che fai? Discutiamo anche di Giovanni Berlinguer che, apprendiamo dai giornali, si candida in contrapposizione a Fassino per la Segreteria dei DS. Tutti siamo d'accordo che sia un personaggio valido, che è una persona seria, un po’ anziana ma che per gestire il periodo di transizione del partito sia l’uomo più adatto. Il fratello di Napoleone ed io siamo convinti che non ce la farà ad essere eletto, perché l'apparato del partito voterà Fassino e così sarà la fine, anche per l'apparato, perché non dovranno più “apparare” nessuno. Ci domandiamo anche in che mondo vivono: è possibile che non si rendono conto dell’incazzo che c’è tra i lavoratori che non si sentono più rappresentati da nessuno? Un partito non può abbandonare una cultura sedimentata in un secolo di lotte. Per andare dove? Sulla barca di D'Alema? Con l'americanismo di Veltroni? Io e il fratello di Napoleone diciamo che anche Cofferati, adorato da Napoleone, è responsabile di questa situazione, che per mantenere l’unità ha subito la linea degli altri sindacati. Non è un caso, dico io, mentre mangio una fetta di salame piccante preso dal piatto di Napoleone, il quale mi offre anche un bicchiere di vino misto a Campari, che quando hanno sciolto il PCI nessun funzionario dell’apparato politico-sindacale è andato con Rifondazione: Rifondazione, si è visto anche alle ultime elezioni, ha preso sempre un terzo dei voti del PDS. Possibile che nessuno di questi funzionari la pensasse come quel terzo di elettori che hanno votato quel partito? Il fratello di Napoleone annuisce ancora col capo. Napoleone sta in silenzio: quand'è così è per lo meno perplesso. Napoleone è stato zitto anche in un'altra occasione, quel giorno, stava ancora molto male, erano appena passati pochi giorni dalla sconfitta storica della sinistra a Bologna e discuteva amaramente con alcuni clienti dell'evento, quando sentì una voce che lo chiamava:- “ Compagno Napoleone! compagno Napoleone!”.
Si girò e chi vide? Il nuovo sindaco Giorgio Guazzaloca che sorridente lo era venuto a trovare (e a mangiare). Napoleone da vent'anni, il giorno della Befana offre un pranzo gratuito ai poveri della città; aveva provato a far dialogare, invitandoli a pranzo, il nuovo Sindaco e la sua sfidante Bartolini, ma ho visto che più di un saluto e un dialogo formale non c'è stato. Mentre gli “frego” dal piatto un pezzo di salsiccia, poi due olive, dico che è tutto colpa degli apparati, veri cancri degli ideali. Napoleone dice che è molto contento per Berlinguer, anche perché è un grosso scienziato, che studia le pulci. In questo momento è molto importante sapere delle pulci, visto che stanno ammazzando un mucchio di persone. O sono le zecche? Suo fratello, di cui non conosco il nome, annuisce anche su questo. Sono ben orgoglioso quando il capofficina, quello dei licenziamenti, mi chiama per ben due volte maestro. Di quel titolo conquistato sul campo, che mi ha dato il museo Zavattini, sono ben contento. E’ già ora di andare a mangiare, saluto tutti e vado a casa. A mia moglie dico che ho fatto uno spuntino da Napoleone e che mangerò poco. Ma quando mi dice che ha fatto la sua straordinaria pasta al forno e vedo che nel piatto me ne ha messa pochissimo, m'incazzo reclamando il mio solito piatto abbondante, con la promessa che dopo non mangerò più niente. A parte due o tre pesche.
Anche durante questa Befana del 2001 al pranzo dei poveri da Napoleone, c’era il sindaco Giorgio Guazzaloca che sembra tornato fisicamente in forma. Napoleone, nel posto dove doveva sedersi per mangiare, gli ha fatto trovare una copia dell’Unità. Al tavolo con Guazzaloca c’era Carlo Sassi, già assessore nella precedente giunta di sinistra, e come al solito parlavano amabilmente. Napoleone ha detto a Guazzaloca d’andare con lui, che gli avrebbe fatto conoscere i Senza Dimora che così l’avrebbero votato. Guazzaloca gli ha risposto: - “Presentali a Sassi: è lui che ha bisogno di voti”. Finito il pranzo è arrivato Gianni Morandi che ha salutato il sindaco di Bologna poi è andato a cantare. Ha cantato diverse canzoni coinvolgendo emotivamente quel pubblico fatto esclusivamente di poveri senza casa. Gianni Morandi è stato proprio fantastico e alla mano. Fa anche invidia, ha cinque o sei anni più di me e ne dimostra venti di meno. Sembra che per lui il tempo non passi mai. Ma Ida, la compagna di Zap il vignettista, mi ha detto che è uno che si tiene sempre a “bolla”. Mangia pochissimo e fa sempre una grande attività fisica. Mi ha detto che ha sentito il figlio di Morandi raccontare che suo padre mangia solo miglio. Se quelli sono i risultati fa proprio bene. Io mi propongo sempre di mettermi a dieta, ma lo penso sempre dopo aver fatto una gran mangiata.
E’ arrivato anche quest’anno il Pratico, operaio incompreso che ha tentato il suicidio diverse volte. Tutte le volte che mi vede sembra che abbia visto chi sa chi, mi sembra di essere un attore del cinema.
Mi dice che si è licenziato dalla fabbrica in cui lavorava da tredici anni. Mentre il Pratico parlava, la sua compagna mi diceva di convincerlo a chiedere se lo riprendevano a lavorare. Mentre mi diceva quelle cose mi sussurrava con angoscia in un orecchio: “Per me è matto e poi mi picchia. Sta tutto il giorno attaccato al computer a scrivere cose incomprensibili”. Alla fine mi ha implorato di dirgli di cercare di farsi riassumere, perchè non sapevano come fare ad andare avanti. Io al Pratico gliel’ho detto, ma lui dice che in quella fabbrica lo trattavano male, che era tredici anni che sopportava quella gente incolta, senza sentimenti e che il suo capo gli chiedeva che cosa ci stesse a fare al mondo. Il Pratico è senz’altro una persona che ha dei problemi, ma se solo ci fossero un po’ di sentimenti e di comprensione, a mio parere sarebbe una persona molto buona e capace. Gli ho detto che a lavorare occorre andarci e che un uomo che non lavora non ha dignità e non lo rispetta nessuno. Per un attimo pensavo di aver fatto breccia, ma poi subito è tornato a dire che lo hanno sempre trattato malissimo.
Povero Pratico, che non riesce fino in fondo a comprendere le cattiverie e la mancanza di sensibilità da parte della società verso chi esce dagli schemi. Ho letto attentamente la lettera che mi ha dato e che ha mandato alla ditta dove lavorava: quanta energia e acutezza sprecata! La farei leggere a tutti per far capire che livello di sofferenza può raggiungere una persona sola, incompresa e poco amata.
E’ passato di fianco al nostro tavolo una persona che ha salutato Zap. Zap ironico gli ha detto che avevano allontanato dal governo uno come Ruggero e che era l’unica persona decente che avevano, questi gli ha risposto sgarbatamente che era uno di loro, un infiltrato della sinistra e che quindi potevano riprenderselo, poi è andato a salutare Guazzaloca. Ho chiesto a Zap chi era quel tipo: mi ha risposto che era uno di destra. Si è riavvicinato un’altra volta al tavolo, mi ha guardato e mi ha detto: “Ciao Carlo”. Ida e Zap si sono messi a ridere: “Bravo - mi hanno detto – “begli amici che hai”. Ho cercato di ricordarmi chi fosse e dove l’avessi incontrato, ma proprio non mi è venuto in mente.
Oggi è sabato pomeriggio 12 gennaio 2002, è l’unico giorno in cui riesco a farmi un pisolino nel pomeriggio, sono circa le tre e mi alzo, mi affaccio nella camera dei ragazzi e vedo Lorenzo assorto mentre guarda la trasmissione di Maria De Filippi “Saranno famosi”. Mio figlio dice più di una volta “ma come son messi”. Guardo la De Filippi che molto seriamente, rimprovera un ragazzo di colore con i capelli rossi, tinti così perché è tifoso della Roma. La De Filippi dice che un suo amico le ha detto che è stato lui, e che da lui non se lo sarebbe mai aspettato. Maria De Filippi è molto seria, ho pensato che quel ragazzo avesse combinato chi sa che cosa. Lui, il ragazzino che avrà 17 o 18 anni, è molto serio e contrariato, le chiede di poter parlare. Lei continua ad accusarlo. “Proprio tu, non me lo sarei mai aspettato, non so neanche perché ci rimango così male, forse perché ti voglio bene”……. Chissà cos’ha fatto quel ragazzo, avrà stuprato una donna per strada, borseggiato una vecchietta o chissà cos’altro. Lei ripete di continuo che da lui che conosceva bene non se lo sarebbe mai aspettato. Incuriosito vado in sala e accendo il televisore grande, mi siedo e aspetto le motivazioni dell’incazzamento della De Filippi. Ma per dieci minuti non lo dice e continua con la sua tiritera moralista. Incazzato, anche perché voglio andare giù a dipingere, vado in camera dai miei figli e chiedo loro che cosa ha combinato quel ragazzo. Lorenzo mi risponde: “E’ una “cazzata” e torna a dire “Ma come cazzo son messi”. E così non riesco ancora a sapere niente. Mi altero e allora si decidono a parlare. La De Filippi, mi dicono, si è arrabbiata con quel ragazzo di colore perché è stato lui il promotore del rifiuto d’indossare la maglia con la scritta “Saranno famosi” in trasmissione. Cazzo cos’ha combinato! Mi prende una grande angoscia. Ma come cazzo siamo messi in questo paese, a che degenerazione mentale e morale siamo arrivati. Che moralità stiamo insegnando ai nostri ragazzi con trasmissioni di questo genere? Lei poi fa finta d’inseguire quei ragazzi che sono usciti dallo studio simulando di non sapere d’essere ripresa. Continua così il suo rimprovero, con lui che cerca di giustificarsi. Ma come cazzo siamo messi! Con trasmissioni come questa stanno intaccando la moralità e l’equilibrio mentale dei giovani, dei nostri ragazzi: altro che film violenti! Nel frattempo mettono gli spot pubblicitari. Trasmissioni come queste traviano i nostri giovani più che se guardassero scene pornografiche in diretta.
Guardando la De Filippi mi accorgo di quanto sia attuale la mia scultura “Il consumista”. Questa gente, più o meno consapevolmente, con la televisione ha indotto le persone a non pensare, perchè contano solo in funzione di quel che consumano. Basta vedere come ragionano quelli più superficiali, quelli che non leggono i giornali e che culturalmente sono più fragili. Parlano e pensano alla stessa maniera dei loro dominatori televisivi senza nessuna riflessione critica. Quando i miei ragazzi erano bambini, all’avvento delle televisioni commerciali ho fatto tutto il possibile per non fargli vedere quella tv, ho cercato di resistere ad ogni costo all’omologazione consumista, ma tutti i giorni dovevo litigare con mia moglie perché i ragazzi volevano vedere quel tipo di programmi. Non c’è stato niente da fare: il grande fratello ha vinto. Anche in casa mia. Ma non del tutto. Ogni tanto riusciamo anche ad indignarci per certe situazioni politiche e sociali che cercano di propinarci come le migliori. Ripenso anche alla mia scultura, “Orwell era in anticipo, Il Comunicatore” del 1992.
I miei figli si lavano in continuazione, fanno il bagno o la doccia più volte al giorno, a me sembra un’esagerazione, sia per i costi che per lo spreco di risorse e l’inquinamento con gli shampoo ed i saponi. Io devo fare una confessione che di questi tempi pochi osano fare, mi lavo solo lo stretto necessario. Sono d'accordo con Pratesi e faccio come lui il bagno solo una volta alla settimana e gli altri giorni mi lavo normalmente, sotto le ascelle e nelle parti intime. Sarà perché mi sembra uno spreco intollerabile consumare tanta acqua e l’energia in questi tempi di spreco delle risorse e, in fondo, mi piace avere addosso quel leggero odore di sudore che mi fa sentire un poco animale. Siamo diventati tutti asettici, non sappiamo più cos’è un vero odore naturale. E un po’ di odore naturale mi piacerebbe sentirlo anche addosso alle donne, più di quel profumo forte, così poco naturale, con cui spesso si cospargono. E’ molto bello far l’amore dopo essersi stancati e aver fatto insieme una bella sudata, soprattutto dopo essere stati in mezzo ai boschi per ore e si è impregnati oltre che dai propri odori anche da quelli della natura. Per me è un richiamo irresistibile dei sensi.
Oggi pomeriggio ho lavorato con la creta e ho modellato un bellissimo cane da caccia e, non so perché, i miei pensieri vanno a John Cervone. Per John e la sua famiglia americana ho scritto prima la poesia e poi una canzone: e’ quella che chiude il libro “Il Pitto”. Io ho scritto le parole e un mio amico musicista, l’ha cantata e musicata. Toni ha una voce stupenda, gli ho chiesto di cantarla e musicarla all’antica, con i mandolini che l’accompagnano proprio per rendere l’atmosfera di un secolo fa. “Un canto dall’Italia” è ambientata all’inizio del “900 e l’ho scritta in seguito ad un racconto di mio fratello Antonio che, dopo una vita passata in giro per l’Italia come maresciallo dei carabinieri, una volta andato in pensione è tornato a Benevento. E’ voluto tornare a vivere per un lungo periodo dell’anno nella terra dove è nato e vissuto fino a 18 anni ( anche lui come i miei genitori, sempre su e giù, per le quattro figlie tutte sposate a Bologna). Mio fratello mi ha raccontato che un giorno si trovava in un negozio di San Giorgio del Sannio quando sentì alle spalle un signore maturo che, con accento straniero e in un italiano molto approssimativo, chiedeva della famiglia Soricelli. Mio fratello gli disse di essere un Soricelli. Quel signore gli raccontò che veniva dagli Stati Uniti d’America e che, prima di morire, voleva visitare i luoghi di provenienza della sua famiglia; disse di chiamarsi John Cervone e che cercava i discendenti di una certa Giuseppa Cervone, sorella di suo padre Domenico, che aveva sposato un Soricelli all’inizio del secolo scorso. Giuseppa Cervone era mia nonna. Mio fratello ha accompagnato John a Cesine, la nostra contrada di provenienza, dove nonna Cervone ha sempre vissuto dopo sposata. Antonio l’ha portato da mia cugina, nella casa dove i nostri padri e nonni sono vissuti. Mia cugina fu molto gentile e disponibile e lo fece accomodare nella sala da pranzo di casa. Quando John entrò rimase come paralizzato, con mano tremante tirò fuori una fotografia dalla giacca; era la stessa foto che mia cugina aveva sul comò della sala. Era quella che nonna Giuseppa e nonno Saverio avevano fatto fare poco dopo essersi sposati, nel 1904, e che avevano mandato al fratello della nonna in America. John si era tanto commosso che aveva il viso coperto di lacrime, sembrava che il tempo si fosse fermato: dopo quasi cento anni di separazione aveva ritrovato i parenti italiani.
Con John sono in contatto tramite Internet, mi ha mandato le foto della famiglia e dei discendenti di suo nonno che sono diverse centinaia. I Cervone americani ogni anno fanno un raduno; nelle foto della loro famiglia ci sono tante persone diverse, biondi, mori e anche di colore.
E’ una vicenda che mi ha commosso molto ed è per questo che ho deciso di scrivere quella poesia che poi è diventata la canzone “Un canto dall’Italia”.
Sono molto affascinato da Dino Campana. Mi affascina quel passaggio in cui dice "SOTTO LE STELLE IMPASSIBILI, SULLA TERRA INFINITAMENTE DESERTA E MISTERIOSA, DALLA SUA TENDA L'UOMO LIBERO TENDEVA LE BRACCIA AL CIELO INFINITO NON DETURPATO DALL'OMBRA DI NESSUN DIO." Quanta drammatica poesia, quanta sconvolgente verità. L'uomo libero dai condizionamenti di un Dio, da Dei vendicatori che ci terrorizzano con vite eterne, inferni e paradisi. Libero da istituzioni secolari che spesso hanno smarrito il significato profondo della loro appartenenza. Campana mi costringe a ritrovare l'essenza stessa della vita, della nostra libertà temporale, dell'appartenenza alla terra, madre della vita biologica. Mi costringe a valutare la vita senza intrusioni religiose. Tornare ad appartenere all'aria, alla luce, al sangue antico rigenerato di volta in volta solo da un grande atto d'amore materiale. Appartenere alla giusta fine eterna. Mi chiedo, perché mai dovrebbe esserci un Dio a noi somigliante? Perché poi si butterebbe così in basso? Che bello e affascinante il corpo senza più vita, che da involucro vuoto mi sussurra “FATE QUELLO CHE VI PARE, IO HO GIA' DATO. E BASTA PER SEMPRE”. E' quello che ho pensato quando ho visto la zia di mia moglie, morta, nel piccolo obitorio dell'ospedale di Porretta Terme. Ero affascinato dalla sua immobilità, nella dolcezza di una morte liberatrice di ansie e angosce. E così che vorrei morire, e per sempre. Il vero dramma è quando muore un giovane, è veramente terribile e ingiusto, non sappiamo cosa avrebbe dato e avuto, è terribile anche perché, non avendo procreato, interrompe una rigenerazione che si sussegue, con l'amore, dall'origine dell'uomo.
Vorrei che le mie ceneri fossero disperse e mai più raccolte. Vorrei che un po’ della mia polvere contribuisse a generare altra vita, animale o vegetale non ha importanza, che servisse per nutrire altri esseri che verranno dopo. Questo non per disprezzo della vita, ma proprio per un grande amore verso di essa.
Mio fratello ha il terrore di morire prima di sua moglie; ha paura che lei, come gli dice spesso, lo faccia cremare, togliendogli la più piccola possibilità un domani di resuscitare.
Il grande pittore viareggino Lorenzo Viani diceva della follia: "La follia è un luogo sterminato che riesce a fermare anche le saette “.
Non accetto morti violente, causate da guerre o da incidenti stradali. Perché non vengono prese decisioni drastiche: mettere nelle sere a maggior rischio il limite di velocità a 80 all’ora?
Non accetto nemmeno la morte a 23 anni di Carlo Giuliani, come mai non ci rendiamo conto di quanto è importante la vita di un giovane? La morte di un ragazzo è la cosa più terribile che possa patire una famiglia e tutta una società.
Io mi sento di dire che gli Dei degli antichi, erano molto vicini agli uomini, alla natura e alle debolezze umane. Il nostro Dio, lontano e concettuale, invece di aiutarci a vivere meglio ci mette continuamente limiti e angosce. Lo so, quando avrò difficoltà e paura di morire, mi raccomanderò al Dio che mi hanno insegnato, ma lo farò solo per debolezza e vigliaccheria. Perché abbiamo paura della morte? Anche questa paura è stata voluta per controllarci? Oppure è frutto dell'evoluzione biologica che ci costringere ad averla per la sopravvivenza della specie?
Urlo al cielo
Un urlo di rabbia arriva fino al cielo
urlo contro Dio
Se esiste
e se non esiste perché urlo al cielo?
L’animale non sa di dover morire
Ma è vero?
Per questo esiste solo Dio o il Nulla?
Solo perché gli animali non sanno di dover morire?
Siamo nell’universo soli e senza Dio
che privilegio maledetto è questo
essere consapevoli di esser soli e senza Dio
o con un Dio che ti vuole perfetto come lui
e che ci umilia perché non ce lo permette.
Urlo contro il cielo
ma è lì Dio?
E perché sta sempre così in alto
e non scende in mezzo a noi?
Ci faccia vedere quanto è buono e generoso
salvi qualche bambino che di fame sta morendo
aiuti qualche vecchio che è solo e abbandonato
ci avverta quando qualcosa di tragico sta per accadere
si sporchi anche Lui le mani di concretezza.
Ma no, Lui non può, Lui è Dio
Lui c’è ma non si vede e sta lassù
mi lascia però libero di urlare da solo contro il cielo.
Io sono per la trasmissione per via matriarcale del cognome, questo per dare un giusto riconoscimento alle donne che mettono al mondo i figli e poi perché, come tutti sapete, la moglie di Bossi è siciliana e si chiama Marrone.
Ve li immaginate i figli di Bossi che vengono chiamati Marrone (un cognome tipicamente meridionale)?
Al più piccolo, oltre che bagnarlo con un’ampolla piena d’acqua del Po, gli ha voluto anche mettere il nome Eridanio (come gli antichi chiamavano quel fiume: non so se erano i suoi amati Celti). Quando incontreranno Eridanio, l’annuseranno in continuazione: con tutto quello che buttano in quel povero fiume… Questi padroncini padani, sempre così impegnati a fare fabbrichette, da Milano in giù fino al Po, non sono riusciti a fare nemmeno un depuratore.
Immaginatevi la scena: tra una ventina d’anni, ci sarà una lotta per la successione di Bossi che continuerà a proclamare la liberazione della Padania per l’anno successivo; la lotta sarà tra il figlio di Bossi, Marrone e Roberto Maroni già vecchio e canuto che aspetta ancora l’eredità bossiana . Marrone dirà che ne ha uno solo, ma molto grosso e duro perché è figlio del capo e con due erre per dargli più consistenza. E poi è molto prolifico come solo i siciliani sanno esserlo. Maroni ribatterà dicendo che la dirigenza della Lega spetta a lui perché anche se i suoi sono piccoli e leggeri (maroni) ne ha tanti: se li è fatti fare in serie da un suo amico che ha una fabbrica nella Brianza.
Dai leghisti veneti poi esigo il massimo rispetto e come fanno di solito loro quando si rivolgono ad un capo mi rispondano “Comandi” visto che, come ho scritto nel libro “maruchein”, discendo da un Doge, un certo Soranzo.
Copia di una lettera (ritrovata) spedita a Roberto Maroni
Casalecchio di Reno il 12/11/1997
Onorevole Maroni, un grande risultato il movimento leghista lo sta ottenendo; quello di risvegliare l’orgoglio delle proprie radici ai tanti meridionali residenti al nord. Io personalmente vi devo personale riconoscenza, nella mia vita non avrei nemmeno immaginato di scrivere un libro.
Ma perchè avete preso come riferimento i Celti e non i Longobardi ( la Lombardia ha preso il nome da quel popolo) che assieme ai romani sono l’altro grande popolo che si è insediato in gran parte della penisola? Forse perché i longobardi hanno avuto l’ardire di spingersi fino a Benevento e formare un principato che ha dominato per sette secoli tutta l’Italia meridionale?
Quando ti vedo in televisione (lo posso dire senza che ti offendi?) trovo che somigli a mio fratello. Come discendente dei Longobardi, e come prova porto gli occhi azzurri e i capelli biondissimi di mia sorella e mia figlia , chiedo per me e per la mia famiglia, e ovviamente per tutti gli abitanti del principato di Benevento, di poter far parte della Padania. Quand’ero piccolo, mio padre, preveggente, da futuro padano, scelse di andare ad abitare in una strada di Bologna che si chiama via del Carroccio.
Saluti da un terrone longobardo.
Carlo Soricelli
Sono sicuro che un domani, e forse neanche fra tanto tempo, l'uomo avrà la capacità di resuscitare i morti, anche quelli di tanto tempo fa. Riusciranno anche a ridare la memoria della vita vissuta al resuscitato. A me, per piacere, non rompete i coglioni.
Quando torno a casa da Napoleone e arrivo vicino a Ceretolo, vedo Mutari, di pelle un po’ scura, figlio di una eritrea e di un italiano. L'incontro sempre che cammina a piedi, cammina in continuazione.
Com'era scontroso quando lavorava con me, grande serietà e professionalità, ma odio per i bianchi. La sua era un'autodifesa, forse si sentiva respinto, allora non c'erano persone di pelle scura e veniva continuamente osservato. Qualsiasi cosa facesse, lo faceva per il colore della pelle. Ricordo con fastidio quando ebbe un diverbio con Sandro: gli disse che era figlio di una troia nera e di un italiano che l'aveva scopata.
Mutari si era licenziato, io ero venuto via prima dalla Pezzoli.
Per più di venti anni non l'ho più visto. Lo rividi in televisione, qualche tempo fa, era in ospedale e il Papa era andato a trovarlo. Nonostante avesse lavorato per tanti anni, era finito a Roma a vivere in strada, da barbone, in una baracca fatta di cartoni.
Dei mascalzoni razzisti avevano cercato di bruciarlo vivo. Mi fece molto male vedere una persona orgogliosa come lui finire in quelle condizioni, e solo per il colore della sua pelle.
Per fortuna ho ricominciato a vederlo dopo quell'episodio, nel tratto di strada che va da Ceretolo a Casalecchio: era tornato a Bologna. Oggi guardava in alto verso dei fichi maturi e invitanti che sporgevano dai rami di un albero che dava sulla Bazzanese.
La vita si consuma in un attimo incomprensibile già passato.
A DAVIDE (nonno dei miei figli)
Lunghi silenzi
membra malferme
fatica della vita addosso.
Si è spento il gran cuore di Davide.
Per un momento il mondo si è fermato
per onorare l'umile vecchio.
Si è chiusa la sua stipata biblioteca
Tutti abbiamo perduto qualcosa.
MAMMA
Da tanto tempo ho i capelli bianchi
e addosso le sberle della vita.
Sogno d'essere sulle sue ginocchia
e il desiderio di una mano tra i capelli
Accarezzati dolcemente.
Ma è solo un attimo
io sono un uomo tosto
la mia generazione comanda il mondo
e la mamma da tanto se ne è andata.
I ricordi sono frammenti di vita deformati e compressi.
Involucro
Tutto si svolge sotto l'occhio attento della cellula primordiale. Il suo bisogno conservativo sposta i nostri pensieri; li avvolge e ammanta di idealità. Bugiarda! Cerchi solo la tua sopravvivenza da quando casualmente ti sei composta. Ti sei perfezionata e ci usi come involucri che ti proteggono. Il mio desiderio sessuale è la tua intelligenza la sfrutti per appagarti e proteggerti. Tutte le cellule successive che hai creato le hai messe al tuo servizio e le ricomponi come meglio credi. Le manipoli; ci vedo per farti vedere, ci sento per farti sentire. Scopo per farti riprodurre. Più avanti ti scoveremo per liberarci. Ti uccideremo. Ci ucciderai dio cellulare?
L' irriconoscente
Mi accorgo spesso di quanto sono ingiusto verso persone che meritano la mia riconoscenza. Ti vogliono bene e i favori che ti fanno sono tantissimi, ma poco appariscenti perché fatti tutti i giorni. Per questo difficilmente si ricordano. E' anche impossibile contenere in un attimo e in un pensiero solo tutto quello che hanno fatto per te, il tempo che ti hanno dedicato. Occorrerebbe fermarsi, riflettere, sfogliare i ricordi col pensiero lento, lungo anche solo un centesimo del tempo che hanno speso per noi. Ci accorgeremmo di quanto siamo irriconoscenti.
Oggi pomeriggio ero in cantina a dipingere il grande quadro dedicato a Dino Campana, e chissà perché mi è venuto in mente il grande critico d'arte, l'idolo bolognese, il Professore Con la sua oratoria ti fa entrare nei quadri, le sue conferenze attirano migliaia di persone. Quando feci la mostra a Palazzo d'Accursio, ricordo che passava in quella che chiamano la bretella perché congiunge la Sala D'Ercole con la Sala Rossa, dove si riunisce il Consiglio Comunale. Passava spesso per quel posto perché faceva vedere gli affreschi ad alcune persone.
Io, operaio, coi miei poveri, coi miei rifiuti dovevo proprio metterlo in imbarazzo. Guardava sempre dritto per paura di dover incrociare il mio sguardo di piccolo pittore metalmeccanico.
E questo signore è noto per essere di sinistra.
Questi personaggi stanno dalla parte degli umili, a condizione che gli umili e i lavoratori stiano al loro posto, non si mettano in testa cose strane invadendo campi che non gli competono.
Stupide domande senza senso
Qualcuno mi sa dire dove finisce l'universo?
E oltre cosa c'è?
Cos'è il tempo?
E' solo mio?
Dio esiste?
E chi l'ha creato?
L'eternità come fa a non finire ?
e se finisce si ferma anche il tempo ?
L'adolescenza ha un forte odore di tabacco e di un sorriso mai più ritrovato.
Nella casa di montagna dove è nata mia moglie ci siamo accorti che c'era un ragno con la sua tela quando quel moscone, che tanto ci tormentava, c’è finito imbrigliato. Il moscone si agitava disperatamente per sfuggire al ragno che si avvicinava. A una distanza di circa due centimetri il ragno muoveva velocemente le sue zampe, mi sembrava che avvolgesse il moscone con la sua tela per impedirgli di sfuggire. Ogni tanto il ragno si fermava perché il moscone sembrava morto poi, quando vedeva che si muoveva ancora, ricominciava ad avvolgerlo, fino a quando non si è mosso più veramente. Mi era venuta voglia di liberarlo, ma poi ho pensato che è la natura che deve vincere.
Mi sono immaginato piccolo come un insetto; a quale tremenda scena avrei assistito. Invece erano loro ad essere piccoli, indifesi nei miei confronti e la loro vita, stupida e inutile per noi umani, avrei avuto il potere di cambiarla completamente.
A volte per sentirsi degli dei basta poco.
Chissà poi se quel moscone ha sofferto, ma poi chi se ne frega, era solo un moscone e il ragno aveva fame.
A volte sono tanto felice d'aver voglia di morire.
Come facciamo a vivere tranquillamente quando non sappiamo neanche perché siamo al mondo, ignorando problemi quali l'eternità e l'infinito. Sono a due terzi della mia vita (se mi va bene) e ogni tanto mi pongo queste domande, come adesso, e mentre sono assorto in questi pensieri mia moglie brontola perché non ho aperto la finestra e cambiato aria alla camera.
A Bruno Stefanelli devo riconoscenza, anche per aver contribuito alla realizzazione di questo libro. Come avevo scritto nel “Pitto”, si era rotto l’hard disk del computer e non avevo più speranze di riuscire a ritrovare i dati persi, pensavo di averli smarriti per sempre. Avevo consultato molti esperti, tra cui anche ditte specializzate, avevo anche promesso un quadro a chi sarebbe riuscito a ritrovarmeli.
Alcune ditte mi avevano detto che ci avrebbero guardato chiedendomi un mucchio di soldi senza assicurarmi il ritrovamento dei dati.
Bruno di professione fa l’idraulico, ma è un genio, un esperto in tutto, “un tuttologo”, quando Bruno lesse il libro mi disse che lui di computer un po’ se ne intendeva e che se gli portavo l’hard disk gli avrebbe dato un’occhiata volentieri.
Lo feci pensando che se non c’erano riusciti tanti esperti difficilmente ci sarebbe riuscito lui. Feci smontare da Lorenzo l’hard disk e glielo portai un sabato pomeriggio. Facemmo un po’ di chiacchiere: veramente, come al solito, chiacchierava solo lui, io l’ascoltavo. Andai a casa e dopo solo due ore telefonò dicendomi che aveva scovato tutto il materiale che cercavo e che quando volevo passare avremmo controllato insieme se c’era tutto. Non ci volevo credere, mi precipitai a casa sua e con grande meraviglia mi accorsi che aveva ritrovato tutto e con una facilità estrema. Ho regalato volentieri a Bruno il quadro promesso. Anzi ci aggiunsi anche un acquarello che gli piaceva. Grazie a lui ho potuto continuare la stesura di questo libro e riassaporare le tante cose scritte su emozioni provate in particolari momenti.
Oggi pomeriggio sono andato da Bruno e chiacchierando (sempre lui) siamo arrivati sulle protezioni antinfortunistiche, gli ho parlato dei miei plantari messi alla rovescio nelle scarpe antinfortunistiche. Bruno mi ha detto che anche a lui fanno mettere cose folli, deve cambiare strumenti e abbigliamento tutte le volte che cambia utensile di lavoro: se usa il trapano il martello o la fiamma ossidrica deve avere la protezione adeguata. Se per sfiga deve fare diverse cose nel corso della mattinata deve portarsi un camion pieno di protezioni adeguate.
Mi ha detto che un suo ex collega usava sì le corde di protezione quando andava sui palazzi, ma che erano più lunghe dei palazzi stessi. L’ingegnere chiedeva sempre a quelli che lavoravano sui tetti: “Ragazzi avete le imbragature?” e tutti in coro rispondevano: “Sì, ingegnere” e gliele facevano vedere, ma non erano legate a niente.
Spero proprio che non sia così, anzi spero che lo sia.
Male dentro
Male forte, male intenso, male coperto, male scoperto, male dilatato
male lacerato, male globale, male cellulare, male accolto, male voluto, male creativo, male distruttivo.
Pensieri espansi, pensieri devianti, pensieri straripanti, pensieri umilianti,
Cause tante, cause vuote cause finte, cause stronze,
Psicofarmaci, psicoterapia, psicofantasia,, psicosociologia
Senza amore, senza senso, senza Dio
Urlo dentro, urlo fuori, urlo tutto.
Ascolto
Sono ad ascoltare l'umore condizionato da sogni artificiali
aiuto alla depressione del vivere.
Dormire senza incubi
ma anche senza volare.
Chimica del cervello e chimica di dose.
Esistenza dipinta di nero buio
dono cattivo della creatività
La fantasia non merita elogi
se ti costringe alla sofferenza
e a misurarti con gli Interrogativi.
Tavolo blu
Abbandonato vicino alla spazzatura
ho visto un tavolo dipinto di blu
lo stesso colore del cielo lontano.
I piedi sono torniti grossolani
come facevano nei tempi passati.
Quel colore mi ha emozionato
via da quel posto umiliante
sta bene in mezzo ai miei quadri dipinti
e le sculture ne esaltano la forma.
Mi chiedo chi può averlo buttato
Forse era di un vecchio ormai morto
che di blu dipingeva i suoi sogni
Continua i miei sogni tavolo dipinto di blu.
Stasera vorrei farmi dei pop corn
sei matto, fa un gran caldo
Per il male alla gamba, in mezzo al pasto di questa sera
prendi una compressa, fallo almeno per una settimana, poi vedremo il da farsi.
Quanto è amata la poesia lo scopri anche in persone che devono vivere di numeri.
Se tutti scrivessero poesie sparirebbe la fame nel mondo.
Ho raccolto 5 pinoli e invece di mangiarli
li ho piantati nella terra dei vasi in terrazza.
Se nasceranno 5 piccoli pini, per loro sono un creatore?
Quante paure
paure strane, paure immotivate, paure dell’io, paure reali, paure creative, paure esplosive, paure personali, paure collettive, paure solitarie, paure del chimico, paure cosmiche, paure apparenti, paure esaurienti, paure eccezionali, paure dormienti, paure salienti, paure invitanti, paure scostanti, paure irrazionali, paura di vivere, paura di morire.
Partigiani
Quanti cippi ci sono ai bordi delle stradefoto sbiadite in bianco e nerodi giovani partigiani ancora senza barbahanno capelli neri pettinati all'indietro
come andavano a quei tempi.Qualche fiore di plastica ne onorano ancora la memoria.Solo alla ricorrenza della loro vita strappataqualcuno ancora porta fiori freschiQuesta poca libertà che abbiamoci è stata donata col loro sacrificio.Libertà donata da giovani corpi pieni d'energiache non sopportavano di volare con catene.Anche per loro c'è l'oblio del consumismoche spegne ogni passione, i ricordi e gli ideali. Canta Guccini che gli eroi sono tutti giovani e belli.
Ma dimenticati.
Questo sabato mattina sono andato a Borgo Panigale da Renzo a ritirare la rimanenza del “Pitto” che la casa editrice aveva ritirato dalla libreria; del “Pitto “ ne sono state vendute poche copie nelle librerie, mentre personalmente ne ho date via diverse centinaia. “Maruchèin” invece è stato un successo, ne ho vendute quasi tremila copie. Prima sono passato alla biblioteca dove ho presentato il libro: mi ero dimenticato di ritirare quasi tutti i quadri. A Luciana per fortuna posso dire di essere un artista un po’ distratto. Ad un altro avrebbero dato del rincoglionito.
Al semaforo, come di consueto, è arrivato un extracomunitario con la solita fotografia della famiglia da sfamare. Mi sono accorto che anch’io spesso faccio come tutti: invece di guardarlo negli occhi, guardo lontano verso un punto immaginario. Non capisco se istintivamente facciamo così per non farci lavare i vetri, acquistare qualche fazzoletto, o ancora per non fare l’elemosina. Forse è anche un autodifesa: cercare d’allontanare queste persone che possono farci riflettere sulle ingiustizie del mondo. Dicono che non hanno voglia di lavorare: che fatica però stare lì ore e ore, col sole e con la pioggia. E sopportare anche tutti quegli sguardi che non ti vedono e ti fanno sentire trasparente.
Dichiarazione d’amore
Lessi sui giornali che Pupi Avati avrebbe girato un nuovo film a Bologna e che cercava delle giovani comparse. Senza dire niente ai miei due figli, Elisa di 20 e Lorenzo di 15, telefonai spacciandomi per loro e offrendomi di partecipare. Dopo alcuni giorni sentii il telefono squillare, era la segretaria di Avati che chiedeva di Lorenzo.
Quando Lorenzo andò al telefono non seppe cosa rispondere quando gli dissero che avevano accettato la sua offerta e quella di Elisa per fare le comparse in “Dichiarazione d’amore”.
Prese tempo dicendo che ne avrebbe parlato con noi e che entro pochi giorni avrebbe dato la risposta. Quando la telefonata finì, Lorenzo mi chiese delle spiegazioni e io gli dissi che avevo fatto la domanda a nome loro perché la ritenevo una bella esperienza. Lorenzo brontolò un po’, ma come al solito alla fine si fece convincere a partecipare, anche perché io gli avevo prospettato di regalargli l’abbonamento per il Bologna e la possibilità di andare da solo al mare con i suoi amici l’estate seguente.
Lorenzo è sempre stata una mia “vittima”, in lui mi rivedevo e cercavo di realizzare i sogni che io non avevo potuto realizzare da ragazzo.
Quando mi disse che accettava di partecipare già lo vedevo attore famoso, Lorenzo ere così bello che sicuramente Avati lo avrebbe scelto come protagonista, o almeno come il miglior amico del protagonista.
Lorenzo all’età di otto anni aveva cominciato a dare i calci ad un pallone in un campo di Zola Predosa. Tirava qualche calcio con suo cugino Giovanni; suo padre, mio fratello Saverio, quando vide come “toccava” il pallone mi disse che dovevo assolutamente iscriverlo ad una squadra perché aveva doti naturali che lui riteneva straordinarie. Non me lo avesse mai detto: lo iscrissi subito al Ponteroncariale e da quel giorno cominciò il suo calvario. In sette anni gli ho fatto cambiare sette squadre, bastava che lo tenessero in panchina una volta che per me quell’allenatore non capiva niente e ci andavo subito a litigare. Da Zola Predosa l’avevo portato al Casteldebole, l’anno successivo alla Casalecchiese, poi visto che era davvero bravino gli avevo fatto fare il provino col Bologna che lo aveva accettato nelle giovanili. Nel Bologna non giocava mai ed era anche difficile farlo, gli altri ragazzini non gli passavano mai la palla e tendevano ad escludere i nuovi per paura che prendessero il loro posto. Col Bologna mi ero trattenuto, sperando che arrivasse sempre il suo momento.
Lorenzo in quella squadra fatta di “fenomeni” non si trovava e le poche volte che lo facevano giocare (solitamente negli ultimi cinque minuti) giocava volutamente male per concludere nel più breve tempo quell'esperienza negativa.
Vidi felice mio figlio quando il Bologna non lo confermò per l’anno seguente, io invece non lo ero per niente e lo portai al Sasso Marconi (o al Crespellano?).
Comunque ogni anno una squadra.
Se non fosse diventato un calciatore famoso, comunque sarebbe diventato famoso come attore.
Lo accompagnai sul luogo delle riprese, Lorenzo era contento, comunque quel giorno non sarebbe andato a scuola, io avevo preso un giorno di ferie. Lo osservavo attentamente, non mi scappava niente che lo riguardasse, seguivo ogni sua minima mossa.
Gli diedero un paio di pantaloni corti e un cappottone che gli arrivava fino alle ginocchia. Gli tagliarono anche i capelli per renderlo simile agli adolescenti dei primi anni cinquanta. I capelli tagliati in quel modo non è che gli piacessero molto. Stette tutto il giorno sul set, io me ne andai a casa perché non vedevo niente e Lorenzo mi diceva che ero l’unico genitore presente.
Mi telefonò nel pomeriggio dicendomi che avrebbero girato una scena importante nella piazzetta a sinistra di via Saragozza di cui non ricordo mai il nome e dove c’è una bellissima Madonna su di una colonna, dove dicono che Avati abitasse da ragazzo. Era già quasi buio e faceva un gran freddo. Avati aveva disposto i ragazzi in cerchio, iniziò la conta che si fermò proprio dal ragazzino che lo impersonava nel film. Il gioco prevedeva che a chi sarebbe toccato avrebbe baciato la ragazza. La ragazza baciò Avati ragazzino. Quella era la scena più importante del film, d’intensa atmosfera e Lorenzo era proprio di fronte alla cinepresa, mezz’ora minimo di ripresa, e lui c’era sempre. Ero proprio contento.
Io ed Elisa, che mi accompagnava, eravamo veramente soddisfatti, chissà poi se Avati aveva messo Lorenzo in quella posizione privilegiata volutamente, forse si era accorto delle sue doti di attore. Al fotografo, che scattò un mucchio di fotografie, chiedemmo se poteva mandarcene alcune a casa, a pagamento ovviamente.
Lorenzo fu richiamato per altre scene; un amico di Elisa, che sognava di fare l’attore, nel film l’avevano addirittura fatto parlare.
Non vedevamo l’ora che uscisse il film per poterlo vedere.
Mi ricordo che uscì durante le feste di Natale. Andammo tutti insieme al cinema, cosa mai successa.
Il film era molto bello, ma noi non aspettavamo altro che vedere Lorenzo, mio figlio però non appariva mai. Arrivò dopo tanta trepidante attesa la famosa scena del bacio, quella dove Lorenzo era stato per tanto tempo davanti alla cinepresa. Finalmente lo vedemmo, anzi capimmo che era lui, si vedeva solo un occhio, per un attimo. E così si concluse il mio sogno di diventare attore attraverso Lorenzo.
E’ passato molto tempo da allora, Lorenzo ha 22 anni e ha continuato a studiare, è diventato ragioniere e frequenta la facoltà di Economia all’Università di Bologna. Ogni tanto ricorda con simpatia quell’esperienza, dice che è stata proprio bella.
Ps. Ho fatto, come mi capita spesso una figura di merda, ho mandato questo scritto a Pupi Avati, ma passando per quella piazzetta mi sono accorto che sulla colonna c’è un santo e non una madonna.
Globalizzazione
Sconfiggerò gli affamatori di poveri
Lotterò per far sorridere i bambini del Niger
e chi lavora
I pochi duchi globalizzatori
voglion tutto per loro
son comandati dall'imperatore equilibratore.
E’ il duca che ha più potere
si ammanta di falsa modestia
tra noi si confonde
e il bastone del comando nasconde.
Tiene al sicuro soldi e diamanti
con codici solo a lui noti
e c'indirizza verso falsi bersagli.
Mescola le carte
con pochi denari appariscenti
confonde i nostri sogni
li vuole comprare
e ridurci ad involucri sorridenti.
Comanda America, Europa
e il resto del mondo
è lo stesso da 3000 anni
è la parte peggiore dell'anima umana.
Per guadagnare di più
ha voluto la società globale
ha trovato ribelli e sognatori
gli antiglobalizzatori.
Ho scaricato i cartoni per i grandi quadri, come al solito mi sono dimenticato le chiavi che aprono le sbarre del palazzo dove ho il magazzino. E il telecomando con la pila scarica non funziona (non ho cambiato la pila nonostante il telecomando avesse fatto cilecca diverse volte). Dopo cinque minuti che armeggiavo intorno a quel maledetto aggeggio è arrivata una signora che gentilmente mi ha aperto col suo telecomando. E' la terza volta che vado nel mio studio da ieri, e sempre per andare a prendere quei maledetti cartoni. Tutte le volte annaffio le piante dentro le nicchie con le grate che comunicano con l’esterno. Tutte e quattro le nicchie le ho riempite di piante. Gli oleandri li ho comprati, mentre il pino e il ginepro li ho presi nei boschi vicini a Casa Moschini: pensare che mi vanto di essere un amante della natura. Quando tantissimi anni fa ho fatto la scultura “L'urlo del bonsai” volevo denunciare il trattamento che riserviamo alle piante quando le riduciamo a vivere dentro ad un vaso. Poi quando i semi del pino mi sono nati, ho riservato loro lo stesso trattamento del bonsai che ho scolpito. Una piantina mi è sopravvissuta e l’ho lasciata dentro un piccolo vaso. In tre anni allo stato libero sarebbe cresciuta almeno due metri, in quel vasetto era alta non più di quindici centimetri. Alla faccia della coerenza e della sensibilità. Stessa sensibilità usata la settimana scorsa, quando ho portato Ralf a fare la solita passeggiata serale: ho visto un piccolo oleandro cresciuto dentro la siepe, lì c'era la terra smossa e la falciatrice non poteva arrivarci. L'ho subito raccolto, non mi sono neppure preoccupato di asportare tutte le radici, nella foga di prenderlo non ho pensato che lo facevo soffrire. Asportato fuori stagione, chissà se poi sarebbe sopravvissuto a quel trauma.
Non contento, quando ho visto che era ancora vivo, l'ho portato con me a Casa Moschini, davanti alla casa di mia moglie che si trova a 950 metri d’altezza. Adesso è lassù, al piccolo oleandro ho dato anche un nome, l'ho chiamato Trovato, così, tanto per renderlo famigliare. Chissà se gli oleandri sopportano il freddo dell'inverno in montagna. Bravo Carlo, fai anche gli esperimenti con le piante!
Pensiero libero e autonomo sulla tastiera del computer.
Ero affascinato da quel modo di fare ma non era assolutamente facile capirne il perché. Mi sentivo vittima e prigioniero di maniere radicate in me sin da ragazzo. Il racconto proseguiva come se niente fosse e nessuno si accorgeva di essere torturato da quelle strane insinuazioni che sprigionavano violenza senza che lo volessero. Ma le rose continuavano a dormire da quell’estate, quando non avevo saputo resistere al fascino dell’ignoto e a quel sorriso straziante che si affacciava tutte le volte che non ci pensavo. Perché mi affascinavano le rose? Avevo cercato d’indagarmi fino in fondo, ma non ne riuscivo a scoprirne la ragione. Forse quella ragazza a cui le avevo donate aveva risvegliato in me un sentimento forte, profondo e affatto banale? Eppure in quel pomeriggio di fantasia soffocata dalla noia correvo veloce in un tunnel che mi avrebbe portato lontano, a varcare i limiti che ciascuno s’impone. Quanto siamo banali e stucchevoli, a volte; così convenzionali che cerchiamo di rimarcare la NOSTRA ASSOLUTA NORMALITA’ CON EPISODI ANOMALI, senza aver neppure un attimo il dubbio. Ciao mio inconscio che tiene dentro di me le mie capienti e brutali realtà. Domani se sarò ancora portato a questa intermittenza cercherò di valutare meglio se essere stati cavalli liberi sarebbe stato più bello, liberi di correre e amare il vento. Nessuno mi ha chiesto se avessi avuto voglia di essere un uomo o un cavallo. E l’eternità a volte corre come se non avesse neanche voglia di fermarsi a guardarsi. Ma perché corre sempre l’eternità, a cosa aspira? Non lo so, forse vuole solo accordarsi col tempo per cercare un compromesso per fermarsi. Ma per me non è così, è assurdo solo pensarlo. Vuol mettere in sordina lo spazio nostro e perché lo fa, qual è il senso? Domani m’imbatterò nel tempo che non si ferma o sarà sempre un mistero? Eppure le rose mi martellavano nella testa come se volessero ricordarmi qualcosa. Come se un mio quadro mi si ripresentasse sempre come immagine nella testa senza saperne il perché. Forse non c’è mai un perché. Eppure sono passati grandi geni e grandi uomini e nessuno si è mai chiesto del mistero della rosa che ricongiunge nel suo profumo i sogni e i desideri… ma ora basta pensarci altrimenti perderò il senso delle cose che mi sfiorano e che mi vogliono raccontare realtà concrete e decifrate.
Questa domenica mattina dei primi di febbraio sono andato in cantina a dipingere. In questi giorni mi sono accorto che in questi ultimi anni ho fatto poche opere pittoriche incisive come nel passato. Già alla fine degli anni settanta dipingevo quadri sull’inquinamento. I senza dimora li facevo agli inizi degli anni ottanta, così come pure i vecchi abbandonati e soli negli ospedali e in case vuote. “Il consumista” quell’orrendo uomo coperto di scritte pubblicitarie che si alimenta mangiandosi, e che è stato acquistato dal Museo Zavattini, è di metà degli anni ottanta. “Danza dello smog” è degli inizi degli anni 90 , come pure “Orwell era in anticipo, il Comunicatore” che evidenzia molto bene questi ultimi tempi: controllo dell’informazione e valore solo per la quantità di quel che consumi.
Sto invecchiando e perdendo la forza espressiva? Ho perso anche la capacità di anticipare con i quadri e le sculture quello che accadrà nel prossimo futuro?
Questa domenica mattina mi sono alzato molto presto e seppur con timore e angoscia ho iniziato a dipingere il grande quadro che avevo in mente.
La mano è corsa veloce e senza tentennamenti per diverse ore. Non ho neppure sentito il male alla gamba dovuto alla sciatalgia. Il quadro l’avevo già mentalmente disposto sulla tela. In questo dipinto fatto di getto, con tanti difetti prospettici, ma di grande impatto emotivo, ho voluto vedere cosa ci avrebbe portato il prossimo futuro, almeno dal mio punto di vista. A mezzogiorno l’avevo dipinto tutto. E’ molto forte e angosciante. C’è un uomo coperto da una tuta anti-contaminazione, tiene stretto in mano uno scrigno piene di monete d’oro, con tante mani che cercano di prenderle. Il contaminatore tiene nell’altra mano una catena con cui ha legato un uomo in camicia e cravatta, dal colore terreo che come un cane a cuccia sorride con lo sguardo da beone. Il contaminatore gli schiaccia anche una mano, ma lui ride lo stesso. Dall’altra parte una belva azzanna un altro uomo. Tutto il quadro è pieno di rifiuti, una montagna di rifiuti che arrivano fino ai palazzi, tutti in stile “ventennio”. Il cielo è sporco e inquinato. Non si vede il volto di chi è dentro lo scafandro trasparente.
Il quadro, che spero di riuscire ad esporre quando presenterò il libro “Il Pitto” nella Biblioteca di Casalecchio, penso di intitolarlo “Sinistra contaminazione”, con chiara allusione a chi, anche a sinistra, si lascia suggestionare da questa società di merda e senza valori (e che non si rende neppure conto che stiamo andando verso una nuova forma di fascismo).
Il “Contaminatore” ha il consenso, ma non è che abbia ragione. Anche i grandi dittatori del passato (Hitler compreso) avevano un grande consenso, conquistato con il controllo dell’informazione. Stiamo andando senza rendercene conto verso una società di paradiso virtuale, una droga mediatica che ci fa credere di vivere in un mondo perfetto, un mondo vuoto di sentimenti, che ci fa apparire normali e belle anche le cose più mostruose e assurde. Svegliamoci prima che sia tardi, altrimenti saremo alla mercè di tutto e di tutti, non saremo neppure più capaci di articolare un pensiero complesso.
Quando arrivo in casa apprendo della morte di Don Antonio; a Don Antonio ho dedicato una pagina, forse la più bella che c’è nel mio secondo libro, “Il Pitto”. Erano moltissimi anni che non lo vedevo e quando l’ho visto arrivare da Napoleone, alla presentazione del Pitto, sono stato felicissimo, ci siamo abbracciati per dieci minuti. Avevo un grandissimo desiderio di vederlo; è una persona che mi ha arricchito moltissimo. Libero mentalmente da ogni convenzione. In quell’occasione, pochi giorni prima del Natale del 2001, all’attrice Roberta Casadei che mi ha presentato il libro ho chiesto di leggere la pagina dedicata a lui.
Don Antonio non sapeva neppure di essere nel libro, gli avevo accennato diversi anni prima che gli avrei fatto un piccolo omaggio.
Quando la Casadei, con la sua calda voce cominciò a leggere la pagina, diventò rosso, mi guardò con un gran sorriso scuotendo la testa. Alla fine della lettura delle pagine che gli avevo dedicato, i presenti lo applaudirono rivolgendogli lo sguardo.
Quando andò via volle comprare dieci copie del libro, io insistetti molto per donargliele ma lui volle assolutamente pagarle. Quando ci salutammo ci riabbracciammo a lungo con la promessa di rivederci presto.
Don Antonio è morto l’altro giorno, giovedì 21 marzo 2002 all’età di settantadue anni. E’ morto all’imbrunire: stava attraversando la strada di Marano di Castenaso per andare ad accarezzare un cagnolino randagio che si trovava dall’altra parte. Quanta semplice grandezza in questa morte piena di simboli. Ha voluto dire di amare gli altri esseri viventi come noi stessi. Dio, se esiste, accoglierà molto vicino questo suo servitore che ha saputo dedicargli tutta la vita, che lo ha amato e cercato dappertutto.
Ciao Don Antonio, rimarrai nel mio cuore fino a quando avrò vita, il tuo sorriso di padre buono, pieno d’amore verso di me non lo dimenticherò mai. Quando sarà il mio momento non avrò paura, sono sicuro che tu sarai lì ad accompagnarmi col tuo dolce sorriso e dirai a Dio che anch’io l’ho cercato sempre, ma col pensiero libero.
Lorenzo è un po’ giù, dopo l’esame di matematica andato male non è ancora tornato di buonumore.
Apprendo da Enea di un libro di Serena Zoli “E liberaci dal male oscuro”. La giornalista intervista nel ‘92 lo psichiatra Giovanni Cassano che parla della depressione come di una malattia simile a tutte le altre, che però può far raggiungere livelli di sofferenza insopportabili, ma se la si conosce e la si individua si può farla sparire in poco tempo. Lo psichiatra dice che è una malattia organica e spazza via tutte le tesi psicologiche e socioambientali. Alla fine, secondo Cassano, dietro la depressione c’è solo uno squilibrio biochimico del cervello. E per dar forza alla sua teoria fa diversi esempi.
Ci sono molte resistenze verso questa tesi, soprattutto perché l’uomo diventa simile ad un computer.
Tutto quello che facciamo, lo facciamo per la nostra particolare composizione biochimica. E’ triste pensare che siamo solo dei computer, a volte programmati male, o sfuggiti di mano a chissà chi. Questa tesi io comunque la condivido, non avevo mai letto niente in proposito, ma proprio in questo libro ho già dedicato alla cellula primordiale una pagina.
Tutto quello che facciamo e pensiamo è per appagare quella cellula e con un po’ di fantasia avevo messo me stesso (e tutto il genere umano) al suo servizio. Anche lei ha l’istinto di sopravvivenza. Elabora sempre nuove strategie per riprodursi e star bene. Non si spiegano altrimenti tante cose che istintivamente facciamo. Però che tragedia per l’umanità, quale desolazione; genio, progresso, fantasia, santità, eroismo e anima….. tutto dovuto alla chimica del cervello e ad una “cellula” che ci adopera, ci usa per i suoi scopi. Allora come ho già scritto, anche amore, gioia, sofferenza, ecc. sono solo il frutto di composizioni chimiche legate a strategie di sopravvivenza. Qualche volta i suoi esperimenti riescono male e non riesce a controllarli: è così che nascono depressione e follia, che sfuggono all’appiattimento biochimico e all’istinto cellulare di sopravvivenza. Sfuggono all’equilibrio.
Quello che ne esce è sconvolgente; però non avrebbe senso nemmeno questo equilibrio chimico se non servisse a qualcosa o a qualcuno (Dio, è sempre lui l’equilibratore?). E allora mi chiedo se è in questi stati di squilibrio biochimico che l’uomo è veramente libero e scappa al suo controllore. Anche tutti gli altri esseri viventi sono il frutto di strategie di cellule intelligenti; un’intelligenza libera e vera, sicuramente superiore alla nostra.
Ogni emozione o azione fuori da schemi prestabiliti non è utile alla sopravvivenza del “chimico”. E’ per questo che giudichiamo anormali i comportamenti fuori da quelli che consideriamo logici? Non sono chimicamente accettabili e controllabili? Certo che è terribile pensare che anche le nostre emozioni siano solo il frutto di alchimie chimiche; di computer umani programmati per la riproduzione e la sopravvivenza di qualcuno, o qualcosa che ci adopera. Se è così, l’uomo avrà di fronte nei prossimi anni uno sconvolgimento senza precedenti, riuscire veramente a essere libero da condizionamenti; forse si scoprirà la natura vera di Dio, quello che controlla, che ha ordinato la nostra e le altre chimiche celebrali. E sarà un Dio molto, ma molto lontano da come l’immaginiamo e ci siamo costruiti per elevarci.
La nostra vita, tutte le vite non possono essere casuali, qualsiasi essere animale e vegetale fa sempre azioni e strategie di sopravvivenza: non può essere solo adattamento. Cellule diverse, di un’intelligenza per noi incomprensibile, cellule che ci usano, si assemblano, si adattano e ci adattano ai loro bisogni.
Se sarà provato, nasceranno nuove religioni, nuove correnti di pensiero, nuove filosofie, nuovi stili di vita, si capiranno meglio le strategie di sopravvivenza di ciascuno e verranno spazzate via come primordiali tutte le attuali tesi sociologiche; la letteratura, la pittura, le conquiste scientifiche, tutta chimica che ogni tanto si confonde e sfugge di mano, o forse cerca nuove strade per la conservazione e l’evoluzione di altre forme di vita.
Villaggi, città, capitalismo, socialismo, tutto per appagare bisogni cellulari, strategie di cellule chimiche unite che si stanno preparando a nuove sfide future. E mi fermo qui, non voglio continuare a stuzzicarmi la fantasia.
L’uomo probabilmente dovrà percorrere strade “non umane” per liberarsi dei suoi controllori, se vorrà conoscere i misteri dell’infinito e dell’eternità e riempire quel vuoto della mente, quelle vertigini che sempre si presentano quando pensiamo a queste cose. Dovremo affidarci ad un’intelligenza diversa, non chimica ma artificiale, non controllata o manipolabile. Del resto l’uomo è, probabilmente, il primo animale che si pone questi problemi.
Ma chi è veramente l’alchimista? Montanelli, intervistato nel libro dalla giornalista Serena Zoli per essere guarito da una grave e lunga depressione in pochi giorni, dopo aver preso delle pillole, disse: ”Si, rimane lo sconcerto al pensiero che questa nostra vita interiore possa dipendere da sostanze chimiche. Forse siamo all’alba di una rivoluzione. O di una involuzione. Che cosa siamo diventati? Animaletti persi in una scheggia dell’universo. Niente gira più intorno a noi”.
Io mi sono solo spinto più in là, ho ipotizzato che siamo controllati e programmati, al servizio stupido e inconsapevole di altri. Forse presto cominceremo ad indirizzarci verso i grandi misteri che migliaia di generazioni di umani hanno cercato di capire. Perché la nostra mente è vuota e smarrita quando pensiamo all’infinito e all’eternità? Perché abbiamo questo vuoto inspiegabile?
Come ho già fatto in altre parti del libro in questa parte lascerò veramente libera la mente di vagare dove vuole, senza controllare e far controllare il mio pensiero dall’alchimista. Almeno così penso.
Sono andato al cinema recentemente, ma la solitudine mi prendeva lo stesso e non volevo vivere come un cane, abbandonato da sogni e fantasia. Del resto l’alchimista mi vede e forse non riuscendo a dettare il mio pensiero cerca di controllarmi la tastiera. Non è solo il nero che vedo, ma sogni statici che “s’inforchettano” dormienti e sazi in uno spazio stanco e affusolato. Come mai i sogni e le fantasie non mi portano ad incontrare quello che non vediamo mai, ma che c’è e si vede ogni tanto quando qualche cosa che crediamo irrazionale si affaccia alla mente? E come mai non sorrido se il pensiero gronda di fantasia spenta e ottusa? Ma la pazzia si affaccia come un morto che vaga spento in un sonno della ragione. Come mai non mi spaventa questo vagare libero e senza senso apparente? Sono visibile solo a spazi determinati o posso essere visto oltre quello che non si vede? Non voglio stimolare questi pensieri troppo liberi che forse mi prenderebbero la mano e mi porterebbero lontano in un mondo irrazionale, libero e non controllato, ma che potrebbe apparire solo troppo fantasioso e malato di protagonismo, pensieri poco utili alla riproduzione essenziale di chi ci sta a guardare.
Ora se mi osservo attentamente o superficialmente, non trovo nessuna differenza e se rifletto su qualcosa che giudico profondo ed essenziale, m’imbatto in un mondo spento o colorato a seconda di come voglio vederlo.
Lasciami libero di vagare in spazi infiniti, fantasiosi che mi portano lontano in una situazione paradossale che non si vede ma che ti accompagna sempre….
Strana questa razionalità che t’imbottiglia in pensieri programmati e schematici e ti osserva, con occhio timoroso e sfiduciato, da questo tuo tentativo di libertà assoluta che ti porta a navigare in spazi e mondi dominati dal niente, che libera l’energia e la fantasia.
Non libererò il pensiero troppo libero: mi porterebbe all’assoluto che non vuole essere osservato troppo da vicino.
Poesia libera
Piccola storia mia
di sogni, stravaganze e utopie
Quando mai il sogno è vivo?
Mi strapperò di dosso la vita rabbiosa
che mi afferra come un vento freddo.
Sempre
La tensione scatta all’improvviso
è umida di sudore puzzolente
Ma i sogni possono rimuovere le speranze
sarebbe meglio legarli
a concetti che evitano l’irreale
a realtà che puoi controllare
e per non ripetere sempre le delusioni.
Ma cosa lascia il mio tempo sognato?
Niente
Solo qualche segno smarrito
in gesti conosciuti
che verranno utilizzati
che già sono stati utilizzati
Nel passato
Io mi racconto come un cantastorie
che non ha vissuto grandi storie
che trasmette solo angosce esistenziali
Vai via, vai via peso pesante, peso leggero
Via, via quadri sognati e quadri esorcizzati.
Le sberle della vita al tramonto fanno più male
Pier Giorgio è morto; l’incontravo casualmente ogni tanto, lui era consigliere di Rifondazione Comunista al Comune di Bologna, lo conoscevo superficialmente e non avevo con lui molta confidenza.
Quando feci la mostra a Palazzo d’Accursio, nel 1995, attraversò diverse volte il corridoio dove avevo esposte le mie opere senza mai fermarsi. Ci rimasi molto male.
Facevo opere a contenuto sociale e ambientale e questi, che dovevano essere le persone più interessate, non si fermavano mai.
Con Soriani dei Verdi, che conoscevo bene, alla prima occasione gliene dissi di tutti i colori; gli dissi che si riempivano la bocca d’ambientalismo, ma questa insensibilità verso l’arte, soprattutto quella che parlava d’ecologia, dimostrava in realtà un cuore arido. Con Pier Giorgio avrei fatto la stessa cosa se l’avessi incontrato dopo la mostra.
Quando ho letto sul giornale che era morto per una grave malattia che aveva già da dieci anni, mi sono sentito meschino; probabilmente lui era sempre così serio, perché già allora combatteva la terribile malattia che gli provocava tanta sofferenza.
Mi sono accorto che giudicare una persona che non conosci a fondo è sbagliato.
Amarezze della mente che si ferma un attimo a pensare
all’esistenza che passa
comincia a fare dei bilanci su quel corpo che l’accompagna
e sale la tristezza e la depressione
prima lo pensi poi il corpo segue.
Se il corpo e la mente non si uniscono
com’è sola la vita
cos’è la mia vita?
tutto e niente a secondo dell’umore
e in questo momento è molto basso
L’equilibrio chimico si è spezzato
e chissà se per vicende o altro
c’è chi si sente realizzato con niente
e chi non lo è anche se ha in mano il mondo.
Io m’accontenterei di non domandarmi.
Grande Chimico donami un po’ di tranquillità
non accompagnata dalla sofferenza.
21 aprile 2002
Questa domenica mattina di metà aprile sono molto depresso.
Penso all’inutilità delle migliaia di opere di pittura e scultura che ho fatto e che credevo potessero cambiare il mondo. O, forse, è anche dovuto al cattivo tempo che ormai ci accompagna da dieci giorni.
Qui davanti ho la pagina piegata del Resto del Carlino con la foto di Don Antonio; penso che gli farò un ritratto o dedicherò una scultura.
Penso complessivamente alla mia vita, all’inutile grande impegno che ho messo nello svolgere il mio lavoro di responsabile della qualità, per cercare di fare un prodotto il più perfetto possibile. Se la nostra azienda è in quello stato ci saranno anche delle mie responsabilità, forse non dovevo piegarmi alle imposizioni dei miei superiori di accettare merce non perfetta, ma ci sono sempre le esigenze di fatturazione.
Poi il mio pensiero va all’esistenza; io voglio sapere perché sto vivendo, non mi accontento di vaga appartenenza a creatura del Signore e di un ipotetico eterno paradiso.
Forse sarebbe meglio se riscoprissimo la nostra animalità, farci guidare di più dagli istinti primordiali, quegli impulsi naturali per cui la sopravvivenza era il valore assoluto; col tempo, con la nostra “intelligenza” abbiamo smarrito i valori veri della vita.
Il sapere di appartenere alla terra, all’acqua, alla luce, al Dio meraviglioso dei nostri antenati primitivi che dovevano sentirsi parte della natura, che permetteva anche a loro di sentirsi Dei.
Abbiamo reazioni istintive, cambiamenti d’umore senza più saperne le ragioni: logiche lontane, primordiali, di sopravvivenza, di fame, di sesso, di pericolo ecc… Maledetta storia che passa e che crea memoria culturale, che lascia segni profondi e ricordi di generazione in generazione e si stratifica allontanandoci sempre di più dalla MADRE TERRA.
La grande fortuna della psicanalisi starà proprio qui, nello scoprire le ragioni del nostro malessere sociale e rapportarle all’uomo primordiale, istintivo e animalesco. Forse un aborigeno di una tribù non ancora civilizzata sarebbe in grado di scoprire meglio di uno psicanalista le ragioni del malessere che in tanti ci attanaglia. Siamo contaminati dalla nostra falsa cultura che ha smarrito LE RAGIONI DELL’ISTINTO. Vorrei lavarmi il meno possibile, l’antico lo faceva poco o niente, vorrei far l’amore con una donna che mi piace appena l’incontro, se tra noi scatta l’attrazione istintiva. Vorrei mangiare quando ho fame e non quando la società me lo impone, vorrei aver educato i miei figli all’onore e alla lealtà, alla caccia per mangiare e far loro rispettare gli altri animali come noi stessi.
A Floriana, supersfruttata dalla società e anche dalla sua famiglia, obbligata a tanti ruoli, non più solo quelli naturali di mamma e compagna, porterei le rose canine che in montagna fioriscono a fine maggio. E invece siamo qui, chiusi in questa scatola a mortificare i nostri veri bisogni, a non capire più neppure i nostri istinti primordiali che ci portiamo ancora dentro. Forse un domani nasceranno gli archeologi degli istinti, indagheranno come si sono costruite nell’evolversi dello sviluppo umano le barriere tra noi e la natura. Facciamo scelte o non scelte tutti i giorni senza nemmeno sapere il perché. Scelte legate a istinti lontani e smarriti.
Gli animali avranno i loro avvocati, saranno anche loro animali; animalumani. Per fortuna gli esseri umani a loro volta si disumanizzeranno e si animalizeranno, L’uomo sarà più felice, non dovrà più sforzarsi di somigliare a Dio senza averne la possibilità. Sarà questa la vera sfida per il prossimo futuro, saper diventare animali tra gli altri animali.
Nei ricordi della vita affiorano solo le cose più eclatanti, quelle che escono dal tran tran di tutti i giorni, ma la vita vera è proprio quella che non si ricorda, giorni e anni che non ricordiamo, che forse non vale la pena di ricordare, a cui dedichiamo attimi del nostro pensiero. Forse è proprio in quello che non si ricorda l’essenza della vita.
Mi prende sempre più spesso la malinconia, la consapevolezza di una vita vissuta che passa senza saperne la ragione. Don Antonio, parlando al funerale del padre di mio cognato, diceva, davanti alla sua bara, che è in uomini semplici, in vite semplici come quella che l’uomo trova tutta la sua grandezza e il senso della vita. Ma Don Antonio era troppo intelligente per essere capito.
In questo momento sono così demotivato e depresso che prenderei tutte le mie opere e le brucerei, sento che all’arte ho dedicato tanto senza poi aver molto in cambio.
Avevo una visione salvifica dell’arte, invece non influisce minimamente. L’uomo segue sempre i suoi istinti e tutto ciò che fa, lo fa per soddisfarli: e alloro perché dipingo e scolpisco in continuazione, anche quando non ne ho voglia? Forse anche questo è un modo per immortalarsi, per appagare i tuoi geni (la cellula) che vogliono sopravvivere. Ho una rabbia in corpo che non riesco a sfogare, e senza sapere qual è la ragione vera. Forse, sono preoccupato per il lavoro, ho fatto bene a farmi mettere in mobilità? Riuscirò a trovare un nuovo equilibrio per dipingere e scolpire o andrò verso una nuova terribile esaurimento depressione.
Dal punto di vista economico l’arte non mi ha dato niente nonostante io sia abbastanza conosciuto. Anzi, ho sottratto risorse alla mia famiglia e comincio a pensare che forse non è stato giusto. Del resto non mi va proprio di mettermi con qualcuno a discutere di soldi per un dipinto, e poi non sono tanti quelli che me li vogliono comprare.
A volte mi piacerebbe che questa mia vita cessasse improvvisamente, così senza preavviso e senza l’onere di lasciar tracce.
L’altra sera, quando stavo male e non lo facevo notare a nessuno, pensavo al dispiacere che avrei dato ai miei cari che in fondo mi vogliono molto bene, ma forse pensarlo mi gratifica.
Forse la nostra società è la stessa di duemila anni fa, non ha fatto nessun progresso, perché gli uomini sono sempre uguali. Cosa sono i lavoratori odierni ed i poveri, se non servi della gleba? Come gli antichi romani avevano i loro, ed erano la maggioranza della popolazione, noi salariati siamo come loro. Quanta violenza c’è in un luogo di lavoro se possono umiliarti e decidere di sbatterti fuori quando e come vogliono? Se la mia intelligenza, la mia fatica, è al servizio di poche persone che non sanno nemmeno chi sono e guadagnano su di me?
Quando la nostra intelligenza ci libererà dell’istinto del dominatore e del gregario? Forse è sempre tutto funzionale ai bisogni della cellula primordiale.
Il tentativo fatto in Unione Sovietica è stato il più grande della storia: cercare di liberare l’uomo dai suoi istinti primordiali, ma è fallito. Forse è stato fatto troppo presto, probabilmente, finchè saremo solo uomini i nostri istinti prevarranno. Chissà se le macchine intelligenti, che non hanno istinto, potranno darci una mano a capirci e a capire? Riusciranno a liberare l’intelligenza dall’istinto?
Ne sono sicuro, fra qualche secolo saremo sulle stelle. Io ci sarò se il mio sangue si sarà rigenerato in altre vite successive. Useremo la luce come mezzo di trasporto, humus chimico trasportato dalla luce che si ricomporrà in vita una volta arrivato a destinazione. Andremo a fare dei “casini” anche in altre parti dell’universo?
L’altra sera è venuta a casa mia, una troupe di Sciuscià, la trasmissione condotta da Michele Santoro. Io e mio figlio abbiamo partecipato al Movimento Cunegonda: Cunegonda è il nome che Umberto Eco ha dato ad una pasta immaginaria che dovrebbe sostituire negli acquisti degli italiani la pasta maggiormente pubblicizzata sulle reti Mediaset. Lo scopo è quello di sensibilizzare le persone verso un consumo responsabile. Scriveva Eco che se consideriamo Berlusconi un pericolo per la democrazia per il monopolio che ha sull’informazione e sul potere economico e politico, l’unica strada è quella di depennare dagli acquisti le merci maggiormente pubblicizzate sulle reti Mediaset; un’idea geniale se vuoi opporti a questo. Mio figlio mi ha coinvolto nell’iniziativa, che anch’io considero importante. La troupe composta da tre persone, tra cui il giornalista Fermigli, ci ha ripreso per più di un’ora e mezza e ha fatto domande per tutto il tempo. Ne è scaturito un servizio in cui Lorenzo, Elisa ed io, abbiamo cercato di spiegare le ragioni di Cunegonda ed i meccanismi degenerativi del consumismo che possono creare “un mostro” come Berlusconi, che alla fine è solo il rappresentante di un’ideologia, il consumismo, che è per sé stessa totalizzante. Abbiamo cercato di mantenere un dibattito alto, senza scendere nella banalità dell’attacco personale a Berlusconi.
Floriana non ha voluto partecipare, perché da sempre pensa che i giornalisti siano persone che stravolgono il pensiero altrui e aggiustano ciò che si dice nella maniera che fa più comodo loro. Purtroppo aveva ragione, quando ieri sera abbiamo visto Sciuscià ci sono cadute le palle.
Il servizio è durato pochi secondi, hanno fatto vedere alcune mie opere tra cui “Il succhiatore di cervelli” del 1985.
Quest’opera descrive un omone immaginario, vestito con spot pubblicitari che succhia con una cannuccia il cervello di un altro omino che si specchia, vestito con abiti firmati. Tutto ciò senza il mio commento sull’opera, che ritenevo significativa, perché volevo sottolineare che il fenomeno esiste già da tanto tempo, prima dell’avvento di Berlusconi e che solo la nostra classe politica, i nostri intellettuali, non si sono accorti di niente e hanno permesso un fenomeno degenerativo come quello che stiamo vivendo.
Hanno fatto poi una piccola ripresa su Lorenzo che parlava dell’irrealtà delle bellissime ragazze che facevano vedere in televisione. Ad Elisa hanno solo fatto dire che riteneva non normale il controllo dell’informazione da parte di un uomo che controlla l’informazione, l’economia e la politica.
Io sono stato ripreso in un altro piccolo frammento, in cui dico, per sdrammatizzare, che domenica ero andato a vedere una partita di calcio in cui giocava mio nipote e che nell’intervallo ero andato nel baretto nei pressi del campo sportivo a prendermi un gelato, un Magnum e, dopo averlo mangiato, tirando fuori la lista Cunegonda mi sono accorto che c’era anche questo prodotto. Tutto qui. Gasparri, ministro della comunicazione, mi ha citato per l’inutilità del boicottaggio (alla rovescio di quello che volevamo esprimere, per l’estrapolazione da un contesto) e Oliviero Bea, chiamandomi “il mangiatore di Magnum”, mi ha citato a sproposito.
Tutti quanti ci siamo rimasti male, mio figlio è uscito incazzato, io ero furioso perché avevano banalizzato in poche battute tutto ciò che avevo detto, facendomi passare per un filo-berlusconiano (sic).
Infatti la mattina seguente quando sono andato a comprare il giornale, l’edicolante mi ha detto subito :- “Da lei non me lo sarei mai aspettato, è stato citato da Gasparri”. E lo ha ribadito due o tre volte. Mi sono incazzato, è arrivato Busi a comprare il giornale e mi ha guardato con un sorriso ironico. Alla giornalaia ho detto di smetterla, che altrimenti m’incazzavo sul serio, che avevano stravolto tutto quello che avevo detto. Che tristezza, in pochi minuti hanno dato a tutte le persone che ci conoscono un’immagine completamente diversa della mia famiglia.
Questa mattina di buon ora ho portato Ralf a passeggiare e come al solito, pisciando alza la zampa, delimitando il suo territorio. Mentre eseguiva questa incombenza, ha visto da lontano un enorme alano. Per la sorpresa, e le dimensioni dell’alano, è rimasto con la zampa alzata come se fosse paralizzato, per dieci minuti, non staccando mai gli occhi da quell’enorme cane.
Il mistero della ghianda
E’ primavera, quando alla sera porto Ralf a fare la solita passeggiata serale, costeggio le siepi e guardo in mezzo alla terra rimossa per vedere se sono nate nuove piantine. L’altra sera sono rimasto meravigliato: nel parco Luis Armstrong proprio di fronte a casa mia ho visto una piantina di quercia appena nata, c’era ancora attaccata la ghianda. Mi sono guardato intorno, in tutto il parco non c’è una quercia ed è circondato da edifici. L’ho presa, portata a casa e piantata in un vaso. Ma com’era finita lì? Ho chiesto anche l’opinione di mia moglie e dei miei figli, ma nessuno mi ha saputo dare una risposta convincente.
Forse sarà stato qualche uccello, o qualche bambino che ha raccolto la ghianda chissà dove, ma perché l’avrebbe poi nascosta sotto la siepe di fronte a casa mia?
Mia moglie dice che a un chilometro di distanza di querce ce ne sono parecchie, ma come ha fatto ad arrivare fin li? Ci sono anche diverse strade asfaltate da attraversare. Io penso che di notte le ghiande camminino e vadano a cercare qualcuno che riesce ancora a sognare: cercano il loro gnomo.
Vorrei andarmene con gli occhi umidi di lacrime e accompagnato da una nenia dolce e struggente che mi riconcili con la natura e l’Infinito che non mi ha voluto svelare il suo segreto. Mi piacerebbe ritrovare i miei cari, i miei antenati. Darei loro la mia mano da stringere per non farmi spaventare dal “nulla”. Formeremmo una catena di uomini e donne che ci riporterà fino ai primordi della vita, una catena che abbraccerà tutto e tutti. Con l’altra mano aperta aspetterò quelli che verranno, per non farli sentire soli nel grande momento. L’uomo è terrorizzato dalla morte perché non riesce ad immaginarsi cosa ci sia oltre; vede il vuoto, pensa al vuoto; è questo che ci terrorizza. Io mi immagino tutt’uno lo spazio e il tempo infinito. Vedo un uomo che cammina obbligatoriamente sopra una strada circolare, riesce a vedere solo un po’ davanti e dietro, sopra e sotto, il limite è l’orizzonte dei suoi occhi e del suo cervello. Camminando crede di consumare lo spazio e il tempo; in realtà torna sempre nello stesso punto-tempo e consuma sola la percezione della sua realtà. E lui che è mentalmente e fisicamente predisposto a riempire il nulla, la morte spaventa perché nel momento che ci pensiamo riusciamo a visualizzare il nulla dello spazio-tempo senza riuscire a concepirlo col cervello.
A volte troviamo inspiegabili i comportamenti delle persone. Credo che spesso siano dettati da pensieri fobici e irrazionali che non vengono esternati per paura di apparire anormali o strani. Forse se imparassimo ad ascoltare senza giudicare, a considerare la mente libera di spaziare dove vuole, senza limiti culturali e sociali, ridurremmo drasticamente le malattie mentali che si cronicizzano e ingigantiscono proprio perché consideriamo anomali i nostri pensieri che ci fanno paura: temiamo che anche gli altri li giudichino così. La mente è un grande spazio libero, condizionato solo dagli istinti primordiali. Non dobbiamo averne paura.
La notte insonne mi dice che forse sto vivendo in paradiso convinto di vivere all’inferno. L’altra notte ero all’inferno convinto di essere in paradiso.
Una mia opera di tanti anni fa rappresentava delle margherite di notte che appena s’intravedono, l’intitolai “Le margherite di notte diventano mostri”.
Sono sempre più convinto che le religioni del futuro ricalcheranno quelle antiche, le cosiddette religioni pagane.
Il rispetto e l’elevazione della natura a livello divino sarà una necessità assoluta per l’uomo se vorrà sopravvivere ai suoi disastri. San Francesco diventerà un riferimento per tutto il mondo, e alcuni dei degli antichi si risveglieranno dal loro oblio millenario.
L’altra sera eravamo a Ponte della Venturina e ho mangiato una mazza di tamburo, un fungo molto grande e buono che impanato e fritto, è proprio una squisitezza. L’ho mangiata alla sera e per tutta la notte sono stato come in dormiveglia, non riuscivo a capire se ero sveglio o dormivo.
Verso l’alba ho avuto degli incubi, come delle allucinazioni. Vedevo ad occhi chiusi e al buio strani oggetti che si muovevano e trasformavano in continuazione. Il sogno-incubo era coloratissimo; colori talmente belli, vivaci e luminosi che mi sarebbe piaciuto riprodurli sulla tela. Mi ricordo che tagliavo un albero ed ai pezzi di legno, mentre si staccavano dalla pianta, spuntavano le gambe e scappavano per non essere colpiti.
Ad un certo punto mi sono spaventato e alzato. Il malessere per quello che avevo visto mi è durato tutto il giorno. Chissà se le mazze di tamburo in determinate circostanze sono un po’ allucinogene.
L’altra mattina ho sentito il giornalista La Porta che parlava di cultura dell’anima, un argomento “leggero” per chi alle 6,30 sta andando al lavoro.
Diceva che adesso pratichiamo una cultura del “fuori”, di ricercare l’anima nella natura e negli oggetti e che la loro anima è quella che noi guardiamo.
Io penso che le piante e gli animali l’anima l’abbiano indipendentemente da come li guardiamo e sentiamo noi. Che grande presunzione. Smettiamola di considerarci sempre degli esseri superiori che danno l’anima anche agli altri esseri viventi. Facciamo una grande operazione di umiltà e modestia: solo così l’uomo tornerà ad essere luce nella luce, aria nell’aria e natura nella natura. Tornerà a rimpastarsi di creato.
Dice giustamente La Porta di ritornare alla cultura dell’anima: sì, dico io, ma degli altri esseri viventi. Che non sia questa l’espiazione, la punizione più grande, non capire più chi siamo e aver perso la capacità di rapportarci alla pari con gli altri “viventi” e aver smarrito il senso della nostra istintiva bestialità?
Non vivi senza sogni. Io sogno in continuazione, ma di sogni non ne ho mai realizzato uno… ma forse non è importante realizzarli, bensì farli.
Tutti i giorni, dopo aver mangiato abbondantemente, mi riprometto di mettermi a dieta.
Stato Depressivo
La depressione mi prende all’improvviso, proprio venerdì sera, nell’Aula Magna dell’Università: ci sono andato per sentire Cofferati; tempo prima gli avevo fatto un ritratto che gli donerò in questa occasione. Mi sento poco gratificato anche se il ritratto è molto somigliante, da ciò capisco che sto per entrare in un periodo di depressione. Cofferati entra tra gli applausi di migliaia di persone.
Il Senatore Vitali mi chiede di salire sul palco per donargli il ritratto.
Cofferati mi ringrazia mentre Vitali elogia le mie qualità artistiche. Dovrei essere molto soddisfatto, ma il disagio rimane. Vado a casa e cerco di dormire, la mattina seguente andremo a Casa Moschini.
La notte è insonne come tutte le ultime. Mi sembra di essere in uno stato di dormiveglia permanente, in quello stato dove il pensiero è libero da condizionamenti, vaga senza nessuna logica apparente e tutto si confonde tra passato, presente, futuro e irrazionalità.
Morti che mi sorridono e mettono in guardia su situazioni che quando sono sveglio mi fanno sorridere, paure immotivate che affiorano dai meandri della memoria. In questo stato i sogni e i pensieri si confondono e intrecciano; ti mettono in una situazione di disagio che t’impedisce di riposare.
Alla mattina sono stanchissimo.
E’ sabato, vado a comprare il giornale dopo aver preso il solito caffè con metà vasetto di yogurt e tre biscotti dietetici: è l’unica dieta che faccio per tenere bassi gli zuccheri che sono risultati alti nelle ultimi analisi del sangue.
Sfoglio il giornale per vedere se parla di Cofferati e del ritratto che gli ho donato. Solo Repubblica mi menziona però sbagliando il cognome.
Sono ancora tutti a letto, si alza Floriana e sondo la sua voglia d’andare a Casa Moschini; l’ansia mi aumenta nell’attesa della risposta. Per fortuna anche lei mi fa capire che non ne ha molta voglia, così anch’io mi “faccio convincere” a non andarci.
Vado giù in cantina per provare a far qualcosa.
Comincio a dipingere un piccolo paesaggio, lo faccio controvoglia e l’ansia si tramuta in angoscia. La tensione nervosa è al massimo e come al solito cerco di scaricarla immaginandomi di essere protagonista di scene violente che però in alcuni momenti m’inquietano; sono però abbastanza efficaci nello scaricarmi.
Cerco di capire le ragioni di questo disagio che mi è arrivato all’improvviso, che mi fa stare così male.
Abbandono il quadro che stavo facendo e che questa volta non mi dà nessuna soddisfazione e vado in studio per controllare se tutto è a posto.
Nel percorso dalla cantina allo studio cerco di raccogliere i miei pensieri per capire le ragioni di questa sofferenza apparentemente inspiegabile. In questo momento tutto mi appare negativo; quello che ho fatto e realizzato è inutile; il presente appare stupido e il futuro minaccioso e negativo in tutti i suoi aspetti: anche la mobilità che consideravo una grande opportunità per il mio futuro d’artista. La depressione è una grande paura irrazionale che ti mette in una posizione di debolezza verso tutto e tutti.
Ieri sera sono andato a vedere il film di Stefano Accorsi su Dino Campana, con mio figlio Lorenzo e mio nipote Luca.
E’ molto bello e intenso ed Accorsi è straordinario nella parte di Campana.
Io nel 2001 feci una mostra proprio su Dino Campana.
Nel film ci sono alcune scene che ricordano straordinariamente i miei quadri, ne ho avuto la conferma quando anche Lorenzo ha pensato la stessa cosa. Sembra quasi che Michele Placido abbia visto i miei quadri, ma non credo… Anche lui, come me, è entrato in sintonia con Campana.
Lorenzo fino a 23 anni non era mai venuto al cinema con me, tranne da bambino. Ieri sera ho capito veramente cosa lega un padre ad un figlio: non è solo l’affetto, ma una trasmissione di emozioni difficili da descrivere.
Scrutavo Lorenzo mentre attento guardava il film e mi sono accorto di quanto siamo simili: captavo le sue emozioni e i suoi sentimenti come fossero i miei. Pensieri ed emozioni complesse, tanto personali e interiorizzate che solo un legame così forte come quello tra padre e figlio in quel momento in sintonia possono avere. E’ forse questa la parte più importante che un genitore lascia in eredità ai figli, la trasmissione delle emozioni e dei gesti senza averne la consapevolezza. Di generazione in generazione.
Mio fratello Antonio, il più anziano di nove fratelli, a volte mi commuove per le sue capacità di narrare.
Dopo aver girato l’Italia dal nord al sud come maresciallo dei carabinieri, da qualche anno si è stabilito, unico di noi fratelli, dove siamo nati, nel paese d’origine di sua moglie, in provincia di Benevento, a pochi chilometri della nostra Cesine.
Antonio, quando racconta, mi fa entrare in una dimensione fantastica. Lui con gli animali ci parla e comunica.
Sua figlia Grazia alcuni anni fa gli ha regalato una coppia di gattini neri che hanno fatto diverse cucciolate.
L’altro giorno mi ha raccontato che poco tempo fa si è arrabbiato coi due gatti perché non fanno il loro lavoro che è quello di acchiappare i topi, che gli rosicchiano tutto. Ha detto loro con voce arrabbiata:- “Siete solo capaci di venire a mangiare e di topi non ne avete mai presi”. I due gatti sono andati via; mi ha detto che gli sembravano avviliti.
Il giorno dopo è andato in macchina e con stupore ha visto sul sedile a fianco del posto di guida, tre topi morti e il giorno successivo altri due in cortile. Mio fratello si è complimentato con i mici per il lavoro svolto.
Vicino a casa sono passati due cani randagi, lui e la moglie hanno dato loro da mangiare e così gli animali non se ne sono più andati.
I due cani, maschio e femmina, stanno tutto il giorno sulla scala a controllare le persone che passano. Quando mio fratello portava loro da mangiare, la femmina arrivava sempre per prima e si pappava anche la razione dell’altro. Antonio si è arrabbiato e le ha detto: “Tu la devi smettere di mangiarti sempre tutto!”. Al sentire queste parole la cagnetta l’ha guardato, ha interrotto l’abbuffata e con la coda bassa è andata via. Da quel giorno quando devono mangiare, la femmina dà sempre la precedenza al suo compagno, non inizia mai a mangiare se non comincia l’altro.
I cani all’inizio non andavano d’accordo con i gatti, cercavano sempre di evitarsi, ma quando s’incontravano era sempre il finimondo.
Un giorno Antonio si è stancato, ha preso in braccio il gatto ed è andato dalla cagnetta che era sempre quella che iniziava la rissa. Con il gatto si è avvicinato al muso del cane, gli ha fatto una carezza e con voce dolce, ma ferma gli ha detto: ”Vagliò , tu stai nella stessa casa do cane e devi volergli bene e andarci d’accordo, se ci litighi ancora so cazzi”. Poi ha fatto una carezza alla cagnetta ed anche a lei ha detto che erano cazzi se non la smetteva. Antonio mi ha raccontato che da quel giorno non hanno più litigato e che anzi, una volta è arrivato un pastore tedesco gigantesco scappato da un vicino di casa.
Il cane lupo quando ha visto il gatto ha iniziato ad corrergli dietro. La cagnetta si è avventata come una belva contro l’intruso che se l’è data a gambe.
Sembrano racconti un po’ fantastici, ma sono veri; io non mi meraviglio dei racconti di mio fratello; a mia moglie era appena morto il papà ed una sera dallo sconforto si era messa a piangere sommessamente sulla poltrona, io mi sono avvicinato e ho cercato di consolarla e Ralf, il mio bastardino che riposava sul suo sdraio, quando ha sentito mia moglie piangere si è svegliato, l’ha guardata intensamente, si è alzato e avvicinato a Floriana: l’ha guardata per un lungo minuto in silenzio come se si chiedesse cosa avesse e cosa poteva fare per consolarla. Poi è andato con la sua testina sotto alla mano di mia moglie e ha cominciato a leccarla. E’ stato un momento intensissimo e commovente.
Ho inaugurato la mostra alla Casa della Solidarietà Alexander Dubcek.
La mattina dell’inaugurazione dovevo andare in bagno e una volta finito, ho cercato di tirare l’acqua: non trovavo la maniglia o il pulsante da nessuna parte. Ho visto una corda che scendeva dall’alto e, anche se mi sembrava insolito, l’ho tirata sperando che fosse quella giusta: era un allarme che ha cominciato a suonare fortissimo. Sono accorsi decine di persone compreso l’assessore alla Cultura Devani. Non mi ero accorto d’essere andato nel bagno riservato agli handicappati e avevo tirato la corda dell’allarme per eventuali malori o pericolo. Nessuno sapeva come si faceva a fermare, l’allarme ha suonato disperatamente per quasi mezz’ora.
L’Assessore scuoteva la testa dicendomi: “Sei proprio un artista” e non credo fosse un complimento.
Tutti armeggiavano su tutto; anche chiudendo l’interruttore centrale l’allarme non si spegneva. Finalmente è arrivata una persona che ha provato spingendo l’interruttore vicino alla corda che avevo tirato e finalmente, soprattutto per le orecchie delle centinaia di persone presenti, l’allarme si è staccato.
La tragedia del Salvemini (ora Casa della Solidarietà)
Alle nove di questa domenica mattina non c’è nessuno a visitare la mia mostra di pittura e scultura nella Sala dei Gabbiani del Salvemini. Questa sala è chiamata così per i gabbiani in legno che sono stati appesi al soffitto dopo la tragedia: sembrano spiccare il volo verso l’esterno, oltre la grande vetrata colorata che ha sostituito la voragine provocata dall’aereo assassino. Sarà la suggestione, sarà il silenzio che induce alla contemplazione ma mi sembra di sentire le presenze di quei giovani, della loro energia rimasta dentro quest’aula. L’albero che ha cercato di deviare l’aereo ha la cima spezzata e si è anche lui formato come un gabbiano che cerca d’andare verso il cielo. Ho preso una matita e ho cercato di fissare queste emozioni in una poesia.
Casa della Solidarietà
Sono solo questa domenica mattina
a guardare l’angoscioso squarcio
addolcito con vetri dai colori delicati
che non alleviano la violenza del ricordo.
La mia Pietà qui dentro soffre di più
e il Vecchio Angelo sembra interrogarsi.
L’albero con la cima spezzata dall’aereo
ha formato i suoi rami come ali
vuole anche lui esser gabbiano
e volare in cielo coi ragazzi.
In questa stanza di sogni giovani recisi
senti la loro energia rimasta dentro.
Il Vostro tragico destino è d’aiuto a tanta gente
vecchi, giovani, disabili
tanti sogni e utopie da realizzare
Il Vostro sacrificio è diventato
la nostra “Casa della Solidarietà”.
In questi giorni sono stato molto male anche se sto facendo una mostra di presepi da Napoleone. Il malessere e’ cominciato la notte della vigilia di Natale: mi sono alzato per andare in bagno alle tre di notte, ma non riuscivo a stare in piedi, non avevo più l’equilibrio. La mattina successiva stavo meglio, il giorno di Natale è andato abbastanza bene, ma all’alba di Santo Stefano il disturbo si è ripetuto, ma molto più forte: non mi reggevo più sulle gambe. Ho telefonato alla guardia medica è gli ho detto del malore e che avrei fatto un salto in ambulatorio per una visita. Quando sono arrivato mi ha controllato e consigliato di andare all’ospedale perché avevo il cuore che batteva irregolarmente. Sono tornato a casa e mi sono fatto accompagnare da mia moglie, perché io non riuscivo più a guidare. Mi hanno fatto immediatamente l’elettrocardiogramma che ha evidenziato un’extrasistole. Il medico del pronto soccorso mi ha visitato e mi ha riscontrato l’irregolarità del battito, avevo due battiti regolari e uno ritardato, mi ha chiesto se sentivo il cuore in gola: gli ho detto di no, anche se lo sentivo molto forte. Ha disposto un ricovero breve, il tempo per fare le analisi del sangue. Sono stato in ospedale fino a mezzogiorno poi sono stato dimesso con il consiglio di rifare l’elettrocardiogramma entro breve tempo. Dall’esame del sangue non risultava nulla.
Oggi è il primo gennaio del 2003, voglio concludere questi pensieri sfusi facendo una piccola riflessione sull’arte e sulla vita. Ho appena finito di leggere il libro di Sebastiano Vassalli “La notte della cometa”, un libro sulla vita di Dino Campana.
Leggendo il libro ho capito quanto sia stata difficile la vita di Dino Campana. Quali livelli di sofferenza avesse raggiunto, sia per la sua malattia, sia per l’indifferenza che l’arte ufficiale aveva nei suoi riguardi e dell’ostracismo che tutta la società aveva nei confronti di una persona dalla sensibilità diversa.
Tutto dev’essere incanalato e simbolizzato, fuori da questo esiste solo la follia. Ci sono già allora ( ma non ne dubitavo) i soliti piccoli tromboni borghesi (Prezzolini, Soffici, Papini e tanti altri) che vedono in Campana il povero contadinotto di provincia che si è messo in testa di fare il Poeta. Non è neppure tollerato con sufficienza, solo dopo la sua morte, qualcuno si è accorto che forse Campana stava dicendo qualcosa di nuovo e di diverso. Forse l’arte e la poesia vera nascono solo dalla grande sofferenza.
Anche adesso per essere considerato un’artista vero devi frequentare un certo mondo, un piccolo mondo borghese che crede di essere al centro dell’universo e che qualsiasi cosa che venga dal di fuori sia piccola cosa: per questo in questi anni abbiamo un’arte banale e superficiale, senza sangue né sentimento. Ma questi borghesucci non lasceranno niente, anzi lasceranno il loro ridicolo ricordo come hanno fatto Prezzolini, Soffici e Papini nei riguardi di Campana.
Io continuerò, nella mia cantina, a dipingere e a scolpire i miei poveri, i miei esclusi, i miei animaliuomini e piantepersone. Sono sicuro che lascerò una traccia, piccola, molto piccola, ma la lascerò. E poi chissà, quando la cometa di Halley è ripassata nel millenovecentottantasei, oltre che per i poeti non sia passata anche per i pittori. Io lo spero.
Casalecchio di Reno il 12/11/1997
Onorevole Maroni, un grande risultato il movimento leghista lo sta ottenendo; quello di risvegliare l’orgoglio delle proprie radici ai tanti meridionali residenti al nord. Io personalmente vi devo personale riconoscenza, nella mia vita non avrei nemmeno immaginato di scrivere un libro.
Ma perchè avete preso come riferimento i Celti e non i Longobardi ( la Lombardia ha preso il nome da quel popolo) che assieme ai romani sono l’altro grande popolo che si è insediato in gran parte della penisola? Forse perché i longobardi hanno avuto l’ardire di spingersi fino a Benevento e formare un principato che ha dominato per sette secoli tutta l’Italia meridionale?
Quando ti vedo in televisione (lo posso dire senza che ti offendi?) trovo che somigli a mio fratello. Come discendente dei Longobardi, e come prova porto gli occhi azzurri e i capelli biondissimi di mia sorella e mia figlia , chiedo per me e per la mia famiglia, e ovviamente per tutti gli abitanti del principato di Benevento, di poter far parte della Padania. Quand’ero piccolo, mio padre, preveggente, da futuro padano, scelse di andare ad abitare in una strada di Bologna che si chiama via del Carroccio.
Saluti da un terrone longobardo.
Carlo Soricelli
Sono sicuro che un domani, e forse neanche fra tanto tempo, l'uomo avrà la capacità di resuscitare i morti, anche quelli di tanto tempo fa. Riusciranno anche a ridare la memoria della vita vissuta al resuscitato. A me, per piacere, non rompete i coglioni.
Quando torno a casa da Napoleone e arrivo vicino a Ceretolo, vedo Mutari, di pelle un po’ scura, figlio di una eritrea e di un italiano. L'incontro sempre che cammina a piedi, cammina in continuazione.
Com'era scontroso quando lavorava con me, grande serietà e professionalità, ma odio per i bianchi. La sua era un'autodifesa, forse si sentiva respinto, allora non c'erano persone di pelle scura e veniva continuamente osservato. Qualsiasi cosa facesse, lo faceva per il colore della pelle. Ricordo con fastidio quando ebbe un diverbio con Sandro: gli disse che era figlio di una troia nera e di un italiano che l'aveva scopata.
Mutari si era licenziato, io ero venuto via prima dalla Pezzoli.
Per più di venti anni non l'ho più visto. Lo rividi in televisione, qualche tempo fa, era in ospedale e il Papa era andato a trovarlo. Nonostante avesse lavorato per tanti anni, era finito a Roma a vivere in strada, da barbone, in una baracca fatta di cartoni.
Dei mascalzoni razzisti avevano cercato di bruciarlo vivo. Mi fece molto male vedere una persona orgogliosa come lui finire in quelle condizioni, e solo per il colore della sua pelle.
Per fortuna ho ricominciato a vederlo dopo quell'episodio, nel tratto di strada che va da Ceretolo a Casalecchio: era tornato a Bologna. Oggi guardava in alto verso dei fichi maturi e invitanti che sporgevano dai rami di un albero che dava sulla Bazzanese.
La vita si consuma in un attimo incomprensibile già passato.
A DAVIDE (nonno dei miei figli)
Lunghi silenzi
membra malferme
fatica della vita addosso.
Si è spento il gran cuore di Davide.
Per un momento il mondo si è fermato
per onorare l'umile vecchio.
Si è chiusa la sua stipata biblioteca
Tutti abbiamo perduto qualcosa.
MAMMA
Da tanto tempo ho i capelli bianchi
e addosso le sberle della vita.
Sogno d'essere sulle sue ginocchia
e il desiderio di una mano tra i capelli
Accarezzati dolcemente.
Ma è solo un attimo
io sono un uomo tosto
la mia generazione comanda il mondo
e la mamma da tanto se ne è andata.
I ricordi sono frammenti di vita deformati e compressi.
Involucro
Tutto si svolge sotto l'occhio attento della cellula primordiale. Il suo bisogno conservativo sposta i nostri pensieri; li avvolge e ammanta di idealità. Bugiarda! Cerchi solo la tua sopravvivenza da quando casualmente ti sei composta. Ti sei perfezionata e ci usi come involucri che ti proteggono. Il mio desiderio sessuale è la tua intelligenza la sfrutti per appagarti e proteggerti. Tutte le cellule successive che hai creato le hai messe al tuo servizio e le ricomponi come meglio credi. Le manipoli; ci vedo per farti vedere, ci sento per farti sentire. Scopo per farti riprodurre. Più avanti ti scoveremo per liberarci. Ti uccideremo. Ci ucciderai dio cellulare?
L' irriconoscente
Mi accorgo spesso di quanto sono ingiusto verso persone che meritano la mia riconoscenza. Ti vogliono bene e i favori che ti fanno sono tantissimi, ma poco appariscenti perché fatti tutti i giorni. Per questo difficilmente si ricordano. E' anche impossibile contenere in un attimo e in un pensiero solo tutto quello che hanno fatto per te, il tempo che ti hanno dedicato. Occorrerebbe fermarsi, riflettere, sfogliare i ricordi col pensiero lento, lungo anche solo un centesimo del tempo che hanno speso per noi. Ci accorgeremmo di quanto siamo irriconoscenti.
Oggi pomeriggio ero in cantina a dipingere il grande quadro dedicato a Dino Campana, e chissà perché mi è venuto in mente il grande critico d'arte, l'idolo bolognese, il Professore Con la sua oratoria ti fa entrare nei quadri, le sue conferenze attirano migliaia di persone. Quando feci la mostra a Palazzo d'Accursio, ricordo che passava in quella che chiamano la bretella perché congiunge la Sala D'Ercole con la Sala Rossa, dove si riunisce il Consiglio Comunale. Passava spesso per quel posto perché faceva vedere gli affreschi ad alcune persone.
Io, operaio, coi miei poveri, coi miei rifiuti dovevo proprio metterlo in imbarazzo. Guardava sempre dritto per paura di dover incrociare il mio sguardo di piccolo pittore metalmeccanico.
E questo signore è noto per essere di sinistra.
Questi personaggi stanno dalla parte degli umili, a condizione che gli umili e i lavoratori stiano al loro posto, non si mettano in testa cose strane invadendo campi che non gli competono.
Stupide domande senza senso
Qualcuno mi sa dire dove finisce l'universo?
E oltre cosa c'è?
Cos'è il tempo?
E' solo mio?
Dio esiste?
E chi l'ha creato?
L'eternità come fa a non finire ?
e se finisce si ferma anche il tempo ?
L'adolescenza ha un forte odore di tabacco e di un sorriso mai più ritrovato.
Nella casa di montagna dove è nata mia moglie ci siamo accorti che c'era un ragno con la sua tela quando quel moscone, che tanto ci tormentava, c’è finito imbrigliato. Il moscone si agitava disperatamente per sfuggire al ragno che si avvicinava. A una distanza di circa due centimetri il ragno muoveva velocemente le sue zampe, mi sembrava che avvolgesse il moscone con la sua tela per impedirgli di sfuggire. Ogni tanto il ragno si fermava perché il moscone sembrava morto poi, quando vedeva che si muoveva ancora, ricominciava ad avvolgerlo, fino a quando non si è mosso più veramente. Mi era venuta voglia di liberarlo, ma poi ho pensato che è la natura che deve vincere.
Mi sono immaginato piccolo come un insetto; a quale tremenda scena avrei assistito. Invece erano loro ad essere piccoli, indifesi nei miei confronti e la loro vita, stupida e inutile per noi umani, avrei avuto il potere di cambiarla completamente.
A volte per sentirsi degli dei basta poco.
Chissà poi se quel moscone ha sofferto, ma poi chi se ne frega, era solo un moscone e il ragno aveva fame.
A volte sono tanto felice d'aver voglia di morire.
Come facciamo a vivere tranquillamente quando non sappiamo neanche perché siamo al mondo, ignorando problemi quali l'eternità e l'infinito. Sono a due terzi della mia vita (se mi va bene) e ogni tanto mi pongo queste domande, come adesso, e mentre sono assorto in questi pensieri mia moglie brontola perché non ho aperto la finestra e cambiato aria alla camera.
A Bruno Stefanelli devo riconoscenza, anche per aver contribuito alla realizzazione di questo libro. Come avevo scritto nel “Pitto”, si era rotto l’hard disk del computer e non avevo più speranze di riuscire a ritrovare i dati persi, pensavo di averli smarriti per sempre. Avevo consultato molti esperti, tra cui anche ditte specializzate, avevo anche promesso un quadro a chi sarebbe riuscito a ritrovarmeli.
Alcune ditte mi avevano detto che ci avrebbero guardato chiedendomi un mucchio di soldi senza assicurarmi il ritrovamento dei dati.
Bruno di professione fa l’idraulico, ma è un genio, un esperto in tutto, “un tuttologo”, quando Bruno lesse il libro mi disse che lui di computer un po’ se ne intendeva e che se gli portavo l’hard disk gli avrebbe dato un’occhiata volentieri.
Lo feci pensando che se non c’erano riusciti tanti esperti difficilmente ci sarebbe riuscito lui. Feci smontare da Lorenzo l’hard disk e glielo portai un sabato pomeriggio. Facemmo un po’ di chiacchiere: veramente, come al solito, chiacchierava solo lui, io l’ascoltavo. Andai a casa e dopo solo due ore telefonò dicendomi che aveva scovato tutto il materiale che cercavo e che quando volevo passare avremmo controllato insieme se c’era tutto. Non ci volevo credere, mi precipitai a casa sua e con grande meraviglia mi accorsi che aveva ritrovato tutto e con una facilità estrema. Ho regalato volentieri a Bruno il quadro promesso. Anzi ci aggiunsi anche un acquarello che gli piaceva. Grazie a lui ho potuto continuare la stesura di questo libro e riassaporare le tante cose scritte su emozioni provate in particolari momenti.
Oggi pomeriggio sono andato da Bruno e chiacchierando (sempre lui) siamo arrivati sulle protezioni antinfortunistiche, gli ho parlato dei miei plantari messi alla rovescio nelle scarpe antinfortunistiche. Bruno mi ha detto che anche a lui fanno mettere cose folli, deve cambiare strumenti e abbigliamento tutte le volte che cambia utensile di lavoro: se usa il trapano il martello o la fiamma ossidrica deve avere la protezione adeguata. Se per sfiga deve fare diverse cose nel corso della mattinata deve portarsi un camion pieno di protezioni adeguate.
Mi ha detto che un suo ex collega usava sì le corde di protezione quando andava sui palazzi, ma che erano più lunghe dei palazzi stessi. L’ingegnere chiedeva sempre a quelli che lavoravano sui tetti: “Ragazzi avete le imbragature?” e tutti in coro rispondevano: “Sì, ingegnere” e gliele facevano vedere, ma non erano legate a niente.
Spero proprio che non sia così, anzi spero che lo sia.
Male dentro
Male forte, male intenso, male coperto, male scoperto, male dilatato
male lacerato, male globale, male cellulare, male accolto, male voluto, male creativo, male distruttivo.
Pensieri espansi, pensieri devianti, pensieri straripanti, pensieri umilianti,
Cause tante, cause vuote cause finte, cause stronze,
Psicofarmaci, psicoterapia, psicofantasia,, psicosociologia
Senza amore, senza senso, senza Dio
Urlo dentro, urlo fuori, urlo tutto.
Ascolto
Sono ad ascoltare l'umore condizionato da sogni artificiali
aiuto alla depressione del vivere.
Dormire senza incubi
ma anche senza volare.
Chimica del cervello e chimica di dose.
Esistenza dipinta di nero buio
dono cattivo della creatività
La fantasia non merita elogi
se ti costringe alla sofferenza
e a misurarti con gli Interrogativi.
Tavolo blu
Abbandonato vicino alla spazzatura
ho visto un tavolo dipinto di blu
lo stesso colore del cielo lontano.
I piedi sono torniti grossolani
come facevano nei tempi passati.
Quel colore mi ha emozionato
via da quel posto umiliante
sta bene in mezzo ai miei quadri dipinti
e le sculture ne esaltano la forma.
Mi chiedo chi può averlo buttato
Forse era di un vecchio ormai morto
che di blu dipingeva i suoi sogni
Continua i miei sogni tavolo dipinto di blu.
Stasera vorrei farmi dei pop corn
sei matto, fa un gran caldo
Per il male alla gamba, in mezzo al pasto di questa sera
prendi una compressa, fallo almeno per una settimana, poi vedremo il da farsi.
Quanto è amata la poesia lo scopri anche in persone che devono vivere di numeri.
Se tutti scrivessero poesie sparirebbe la fame nel mondo.
Ho raccolto 5 pinoli e invece di mangiarli
li ho piantati nella terra dei vasi in terrazza.
Se nasceranno 5 piccoli pini, per loro sono un creatore?
Quante paure
paure strane, paure immotivate, paure dell’io, paure reali, paure creative, paure esplosive, paure personali, paure collettive, paure solitarie, paure del chimico, paure cosmiche, paure apparenti, paure esaurienti, paure eccezionali, paure dormienti, paure salienti, paure invitanti, paure scostanti, paure irrazionali, paura di vivere, paura di morire.
Partigiani
Quanti cippi ci sono ai bordi delle stradefoto sbiadite in bianco e nerodi giovani partigiani ancora senza barbahanno capelli neri pettinati all'indietro
come andavano a quei tempi.Qualche fiore di plastica ne onorano ancora la memoria.Solo alla ricorrenza della loro vita strappataqualcuno ancora porta fiori freschiQuesta poca libertà che abbiamoci è stata donata col loro sacrificio.Libertà donata da giovani corpi pieni d'energiache non sopportavano di volare con catene.Anche per loro c'è l'oblio del consumismoche spegne ogni passione, i ricordi e gli ideali. Canta Guccini che gli eroi sono tutti giovani e belli.
Ma dimenticati.
Questo sabato mattina sono andato a Borgo Panigale da Renzo a ritirare la rimanenza del “Pitto” che la casa editrice aveva ritirato dalla libreria; del “Pitto “ ne sono state vendute poche copie nelle librerie, mentre personalmente ne ho date via diverse centinaia. “Maruchèin” invece è stato un successo, ne ho vendute quasi tremila copie. Prima sono passato alla biblioteca dove ho presentato il libro: mi ero dimenticato di ritirare quasi tutti i quadri. A Luciana per fortuna posso dire di essere un artista un po’ distratto. Ad un altro avrebbero dato del rincoglionito.
Al semaforo, come di consueto, è arrivato un extracomunitario con la solita fotografia della famiglia da sfamare. Mi sono accorto che anch’io spesso faccio come tutti: invece di guardarlo negli occhi, guardo lontano verso un punto immaginario. Non capisco se istintivamente facciamo così per non farci lavare i vetri, acquistare qualche fazzoletto, o ancora per non fare l’elemosina. Forse è anche un autodifesa: cercare d’allontanare queste persone che possono farci riflettere sulle ingiustizie del mondo. Dicono che non hanno voglia di lavorare: che fatica però stare lì ore e ore, col sole e con la pioggia. E sopportare anche tutti quegli sguardi che non ti vedono e ti fanno sentire trasparente.
Dichiarazione d’amore
Lessi sui giornali che Pupi Avati avrebbe girato un nuovo film a Bologna e che cercava delle giovani comparse. Senza dire niente ai miei due figli, Elisa di 20 e Lorenzo di 15, telefonai spacciandomi per loro e offrendomi di partecipare. Dopo alcuni giorni sentii il telefono squillare, era la segretaria di Avati che chiedeva di Lorenzo.
Quando Lorenzo andò al telefono non seppe cosa rispondere quando gli dissero che avevano accettato la sua offerta e quella di Elisa per fare le comparse in “Dichiarazione d’amore”.
Prese tempo dicendo che ne avrebbe parlato con noi e che entro pochi giorni avrebbe dato la risposta. Quando la telefonata finì, Lorenzo mi chiese delle spiegazioni e io gli dissi che avevo fatto la domanda a nome loro perché la ritenevo una bella esperienza. Lorenzo brontolò un po’, ma come al solito alla fine si fece convincere a partecipare, anche perché io gli avevo prospettato di regalargli l’abbonamento per il Bologna e la possibilità di andare da solo al mare con i suoi amici l’estate seguente.
Lorenzo è sempre stata una mia “vittima”, in lui mi rivedevo e cercavo di realizzare i sogni che io non avevo potuto realizzare da ragazzo.
Quando mi disse che accettava di partecipare già lo vedevo attore famoso, Lorenzo ere così bello che sicuramente Avati lo avrebbe scelto come protagonista, o almeno come il miglior amico del protagonista.
Lorenzo all’età di otto anni aveva cominciato a dare i calci ad un pallone in un campo di Zola Predosa. Tirava qualche calcio con suo cugino Giovanni; suo padre, mio fratello Saverio, quando vide come “toccava” il pallone mi disse che dovevo assolutamente iscriverlo ad una squadra perché aveva doti naturali che lui riteneva straordinarie. Non me lo avesse mai detto: lo iscrissi subito al Ponteroncariale e da quel giorno cominciò il suo calvario. In sette anni gli ho fatto cambiare sette squadre, bastava che lo tenessero in panchina una volta che per me quell’allenatore non capiva niente e ci andavo subito a litigare. Da Zola Predosa l’avevo portato al Casteldebole, l’anno successivo alla Casalecchiese, poi visto che era davvero bravino gli avevo fatto fare il provino col Bologna che lo aveva accettato nelle giovanili. Nel Bologna non giocava mai ed era anche difficile farlo, gli altri ragazzini non gli passavano mai la palla e tendevano ad escludere i nuovi per paura che prendessero il loro posto. Col Bologna mi ero trattenuto, sperando che arrivasse sempre il suo momento.
Lorenzo in quella squadra fatta di “fenomeni” non si trovava e le poche volte che lo facevano giocare (solitamente negli ultimi cinque minuti) giocava volutamente male per concludere nel più breve tempo quell'esperienza negativa.
Vidi felice mio figlio quando il Bologna non lo confermò per l’anno seguente, io invece non lo ero per niente e lo portai al Sasso Marconi (o al Crespellano?).
Comunque ogni anno una squadra.
Se non fosse diventato un calciatore famoso, comunque sarebbe diventato famoso come attore.
Lo accompagnai sul luogo delle riprese, Lorenzo era contento, comunque quel giorno non sarebbe andato a scuola, io avevo preso un giorno di ferie. Lo osservavo attentamente, non mi scappava niente che lo riguardasse, seguivo ogni sua minima mossa.
Gli diedero un paio di pantaloni corti e un cappottone che gli arrivava fino alle ginocchia. Gli tagliarono anche i capelli per renderlo simile agli adolescenti dei primi anni cinquanta. I capelli tagliati in quel modo non è che gli piacessero molto. Stette tutto il giorno sul set, io me ne andai a casa perché non vedevo niente e Lorenzo mi diceva che ero l’unico genitore presente.
Mi telefonò nel pomeriggio dicendomi che avrebbero girato una scena importante nella piazzetta a sinistra di via Saragozza di cui non ricordo mai il nome e dove c’è una bellissima Madonna su di una colonna, dove dicono che Avati abitasse da ragazzo. Era già quasi buio e faceva un gran freddo. Avati aveva disposto i ragazzi in cerchio, iniziò la conta che si fermò proprio dal ragazzino che lo impersonava nel film. Il gioco prevedeva che a chi sarebbe toccato avrebbe baciato la ragazza. La ragazza baciò Avati ragazzino. Quella era la scena più importante del film, d’intensa atmosfera e Lorenzo era proprio di fronte alla cinepresa, mezz’ora minimo di ripresa, e lui c’era sempre. Ero proprio contento.
Io ed Elisa, che mi accompagnava, eravamo veramente soddisfatti, chissà poi se Avati aveva messo Lorenzo in quella posizione privilegiata volutamente, forse si era accorto delle sue doti di attore. Al fotografo, che scattò un mucchio di fotografie, chiedemmo se poteva mandarcene alcune a casa, a pagamento ovviamente.
Lorenzo fu richiamato per altre scene; un amico di Elisa, che sognava di fare l’attore, nel film l’avevano addirittura fatto parlare.
Non vedevamo l’ora che uscisse il film per poterlo vedere.
Mi ricordo che uscì durante le feste di Natale. Andammo tutti insieme al cinema, cosa mai successa.
Il film era molto bello, ma noi non aspettavamo altro che vedere Lorenzo, mio figlio però non appariva mai. Arrivò dopo tanta trepidante attesa la famosa scena del bacio, quella dove Lorenzo era stato per tanto tempo davanti alla cinepresa. Finalmente lo vedemmo, anzi capimmo che era lui, si vedeva solo un occhio, per un attimo. E così si concluse il mio sogno di diventare attore attraverso Lorenzo.
E’ passato molto tempo da allora, Lorenzo ha 22 anni e ha continuato a studiare, è diventato ragioniere e frequenta la facoltà di Economia all’Università di Bologna. Ogni tanto ricorda con simpatia quell’esperienza, dice che è stata proprio bella.
Ps. Ho fatto, come mi capita spesso una figura di merda, ho mandato questo scritto a Pupi Avati, ma passando per quella piazzetta mi sono accorto che sulla colonna c’è un santo e non una madonna.
Globalizzazione
Sconfiggerò gli affamatori di poveri
Lotterò per far sorridere i bambini del Niger
e chi lavora
I pochi duchi globalizzatori
voglion tutto per loro
son comandati dall'imperatore equilibratore.
E’ il duca che ha più potere
si ammanta di falsa modestia
tra noi si confonde
e il bastone del comando nasconde.
Tiene al sicuro soldi e diamanti
con codici solo a lui noti
e c'indirizza verso falsi bersagli.
Mescola le carte
con pochi denari appariscenti
confonde i nostri sogni
li vuole comprare
e ridurci ad involucri sorridenti.
Comanda America, Europa
e il resto del mondo
è lo stesso da 3000 anni
è la parte peggiore dell'anima umana.
Per guadagnare di più
ha voluto la società globale
ha trovato ribelli e sognatori
gli antiglobalizzatori.
Ho scaricato i cartoni per i grandi quadri, come al solito mi sono dimenticato le chiavi che aprono le sbarre del palazzo dove ho il magazzino. E il telecomando con la pila scarica non funziona (non ho cambiato la pila nonostante il telecomando avesse fatto cilecca diverse volte). Dopo cinque minuti che armeggiavo intorno a quel maledetto aggeggio è arrivata una signora che gentilmente mi ha aperto col suo telecomando. E' la terza volta che vado nel mio studio da ieri, e sempre per andare a prendere quei maledetti cartoni. Tutte le volte annaffio le piante dentro le nicchie con le grate che comunicano con l’esterno. Tutte e quattro le nicchie le ho riempite di piante. Gli oleandri li ho comprati, mentre il pino e il ginepro li ho presi nei boschi vicini a Casa Moschini: pensare che mi vanto di essere un amante della natura. Quando tantissimi anni fa ho fatto la scultura “L'urlo del bonsai” volevo denunciare il trattamento che riserviamo alle piante quando le riduciamo a vivere dentro ad un vaso. Poi quando i semi del pino mi sono nati, ho riservato loro lo stesso trattamento del bonsai che ho scolpito. Una piantina mi è sopravvissuta e l’ho lasciata dentro un piccolo vaso. In tre anni allo stato libero sarebbe cresciuta almeno due metri, in quel vasetto era alta non più di quindici centimetri. Alla faccia della coerenza e della sensibilità. Stessa sensibilità usata la settimana scorsa, quando ho portato Ralf a fare la solita passeggiata serale: ho visto un piccolo oleandro cresciuto dentro la siepe, lì c'era la terra smossa e la falciatrice non poteva arrivarci. L'ho subito raccolto, non mi sono neppure preoccupato di asportare tutte le radici, nella foga di prenderlo non ho pensato che lo facevo soffrire. Asportato fuori stagione, chissà se poi sarebbe sopravvissuto a quel trauma.
Non contento, quando ho visto che era ancora vivo, l'ho portato con me a Casa Moschini, davanti alla casa di mia moglie che si trova a 950 metri d’altezza. Adesso è lassù, al piccolo oleandro ho dato anche un nome, l'ho chiamato Trovato, così, tanto per renderlo famigliare. Chissà se gli oleandri sopportano il freddo dell'inverno in montagna. Bravo Carlo, fai anche gli esperimenti con le piante!
Pensiero libero e autonomo sulla tastiera del computer.
Ero affascinato da quel modo di fare ma non era assolutamente facile capirne il perché. Mi sentivo vittima e prigioniero di maniere radicate in me sin da ragazzo. Il racconto proseguiva come se niente fosse e nessuno si accorgeva di essere torturato da quelle strane insinuazioni che sprigionavano violenza senza che lo volessero. Ma le rose continuavano a dormire da quell’estate, quando non avevo saputo resistere al fascino dell’ignoto e a quel sorriso straziante che si affacciava tutte le volte che non ci pensavo. Perché mi affascinavano le rose? Avevo cercato d’indagarmi fino in fondo, ma non ne riuscivo a scoprirne la ragione. Forse quella ragazza a cui le avevo donate aveva risvegliato in me un sentimento forte, profondo e affatto banale? Eppure in quel pomeriggio di fantasia soffocata dalla noia correvo veloce in un tunnel che mi avrebbe portato lontano, a varcare i limiti che ciascuno s’impone. Quanto siamo banali e stucchevoli, a volte; così convenzionali che cerchiamo di rimarcare la NOSTRA ASSOLUTA NORMALITA’ CON EPISODI ANOMALI, senza aver neppure un attimo il dubbio. Ciao mio inconscio che tiene dentro di me le mie capienti e brutali realtà. Domani se sarò ancora portato a questa intermittenza cercherò di valutare meglio se essere stati cavalli liberi sarebbe stato più bello, liberi di correre e amare il vento. Nessuno mi ha chiesto se avessi avuto voglia di essere un uomo o un cavallo. E l’eternità a volte corre come se non avesse neanche voglia di fermarsi a guardarsi. Ma perché corre sempre l’eternità, a cosa aspira? Non lo so, forse vuole solo accordarsi col tempo per cercare un compromesso per fermarsi. Ma per me non è così, è assurdo solo pensarlo. Vuol mettere in sordina lo spazio nostro e perché lo fa, qual è il senso? Domani m’imbatterò nel tempo che non si ferma o sarà sempre un mistero? Eppure le rose mi martellavano nella testa come se volessero ricordarmi qualcosa. Come se un mio quadro mi si ripresentasse sempre come immagine nella testa senza saperne il perché. Forse non c’è mai un perché. Eppure sono passati grandi geni e grandi uomini e nessuno si è mai chiesto del mistero della rosa che ricongiunge nel suo profumo i sogni e i desideri… ma ora basta pensarci altrimenti perderò il senso delle cose che mi sfiorano e che mi vogliono raccontare realtà concrete e decifrate.
Questa domenica mattina dei primi di febbraio sono andato in cantina a dipingere. In questi giorni mi sono accorto che in questi ultimi anni ho fatto poche opere pittoriche incisive come nel passato. Già alla fine degli anni settanta dipingevo quadri sull’inquinamento. I senza dimora li facevo agli inizi degli anni ottanta, così come pure i vecchi abbandonati e soli negli ospedali e in case vuote. “Il consumista” quell’orrendo uomo coperto di scritte pubblicitarie che si alimenta mangiandosi, e che è stato acquistato dal Museo Zavattini, è di metà degli anni ottanta. “Danza dello smog” è degli inizi degli anni 90 , come pure “Orwell era in anticipo, il Comunicatore” che evidenzia molto bene questi ultimi tempi: controllo dell’informazione e valore solo per la quantità di quel che consumi.
Sto invecchiando e perdendo la forza espressiva? Ho perso anche la capacità di anticipare con i quadri e le sculture quello che accadrà nel prossimo futuro?
Questa domenica mattina mi sono alzato molto presto e seppur con timore e angoscia ho iniziato a dipingere il grande quadro che avevo in mente.
La mano è corsa veloce e senza tentennamenti per diverse ore. Non ho neppure sentito il male alla gamba dovuto alla sciatalgia. Il quadro l’avevo già mentalmente disposto sulla tela. In questo dipinto fatto di getto, con tanti difetti prospettici, ma di grande impatto emotivo, ho voluto vedere cosa ci avrebbe portato il prossimo futuro, almeno dal mio punto di vista. A mezzogiorno l’avevo dipinto tutto. E’ molto forte e angosciante. C’è un uomo coperto da una tuta anti-contaminazione, tiene stretto in mano uno scrigno piene di monete d’oro, con tante mani che cercano di prenderle. Il contaminatore tiene nell’altra mano una catena con cui ha legato un uomo in camicia e cravatta, dal colore terreo che come un cane a cuccia sorride con lo sguardo da beone. Il contaminatore gli schiaccia anche una mano, ma lui ride lo stesso. Dall’altra parte una belva azzanna un altro uomo. Tutto il quadro è pieno di rifiuti, una montagna di rifiuti che arrivano fino ai palazzi, tutti in stile “ventennio”. Il cielo è sporco e inquinato. Non si vede il volto di chi è dentro lo scafandro trasparente.
Il quadro, che spero di riuscire ad esporre quando presenterò il libro “Il Pitto” nella Biblioteca di Casalecchio, penso di intitolarlo “Sinistra contaminazione”, con chiara allusione a chi, anche a sinistra, si lascia suggestionare da questa società di merda e senza valori (e che non si rende neppure conto che stiamo andando verso una nuova forma di fascismo).
Il “Contaminatore” ha il consenso, ma non è che abbia ragione. Anche i grandi dittatori del passato (Hitler compreso) avevano un grande consenso, conquistato con il controllo dell’informazione. Stiamo andando senza rendercene conto verso una società di paradiso virtuale, una droga mediatica che ci fa credere di vivere in un mondo perfetto, un mondo vuoto di sentimenti, che ci fa apparire normali e belle anche le cose più mostruose e assurde. Svegliamoci prima che sia tardi, altrimenti saremo alla mercè di tutto e di tutti, non saremo neppure più capaci di articolare un pensiero complesso.
Quando arrivo in casa apprendo della morte di Don Antonio; a Don Antonio ho dedicato una pagina, forse la più bella che c’è nel mio secondo libro, “Il Pitto”. Erano moltissimi anni che non lo vedevo e quando l’ho visto arrivare da Napoleone, alla presentazione del Pitto, sono stato felicissimo, ci siamo abbracciati per dieci minuti. Avevo un grandissimo desiderio di vederlo; è una persona che mi ha arricchito moltissimo. Libero mentalmente da ogni convenzione. In quell’occasione, pochi giorni prima del Natale del 2001, all’attrice Roberta Casadei che mi ha presentato il libro ho chiesto di leggere la pagina dedicata a lui.
Don Antonio non sapeva neppure di essere nel libro, gli avevo accennato diversi anni prima che gli avrei fatto un piccolo omaggio.
Quando la Casadei, con la sua calda voce cominciò a leggere la pagina, diventò rosso, mi guardò con un gran sorriso scuotendo la testa. Alla fine della lettura delle pagine che gli avevo dedicato, i presenti lo applaudirono rivolgendogli lo sguardo.
Quando andò via volle comprare dieci copie del libro, io insistetti molto per donargliele ma lui volle assolutamente pagarle. Quando ci salutammo ci riabbracciammo a lungo con la promessa di rivederci presto.
Don Antonio è morto l’altro giorno, giovedì 21 marzo 2002 all’età di settantadue anni. E’ morto all’imbrunire: stava attraversando la strada di Marano di Castenaso per andare ad accarezzare un cagnolino randagio che si trovava dall’altra parte. Quanta semplice grandezza in questa morte piena di simboli. Ha voluto dire di amare gli altri esseri viventi come noi stessi. Dio, se esiste, accoglierà molto vicino questo suo servitore che ha saputo dedicargli tutta la vita, che lo ha amato e cercato dappertutto.
Ciao Don Antonio, rimarrai nel mio cuore fino a quando avrò vita, il tuo sorriso di padre buono, pieno d’amore verso di me non lo dimenticherò mai. Quando sarà il mio momento non avrò paura, sono sicuro che tu sarai lì ad accompagnarmi col tuo dolce sorriso e dirai a Dio che anch’io l’ho cercato sempre, ma col pensiero libero.
Lorenzo è un po’ giù, dopo l’esame di matematica andato male non è ancora tornato di buonumore.
Apprendo da Enea di un libro di Serena Zoli “E liberaci dal male oscuro”. La giornalista intervista nel ‘92 lo psichiatra Giovanni Cassano che parla della depressione come di una malattia simile a tutte le altre, che però può far raggiungere livelli di sofferenza insopportabili, ma se la si conosce e la si individua si può farla sparire in poco tempo. Lo psichiatra dice che è una malattia organica e spazza via tutte le tesi psicologiche e socioambientali. Alla fine, secondo Cassano, dietro la depressione c’è solo uno squilibrio biochimico del cervello. E per dar forza alla sua teoria fa diversi esempi.
Ci sono molte resistenze verso questa tesi, soprattutto perché l’uomo diventa simile ad un computer.
Tutto quello che facciamo, lo facciamo per la nostra particolare composizione biochimica. E’ triste pensare che siamo solo dei computer, a volte programmati male, o sfuggiti di mano a chissà chi. Questa tesi io comunque la condivido, non avevo mai letto niente in proposito, ma proprio in questo libro ho già dedicato alla cellula primordiale una pagina.
Tutto quello che facciamo e pensiamo è per appagare quella cellula e con un po’ di fantasia avevo messo me stesso (e tutto il genere umano) al suo servizio. Anche lei ha l’istinto di sopravvivenza. Elabora sempre nuove strategie per riprodursi e star bene. Non si spiegano altrimenti tante cose che istintivamente facciamo. Però che tragedia per l’umanità, quale desolazione; genio, progresso, fantasia, santità, eroismo e anima….. tutto dovuto alla chimica del cervello e ad una “cellula” che ci adopera, ci usa per i suoi scopi. Allora come ho già scritto, anche amore, gioia, sofferenza, ecc. sono solo il frutto di composizioni chimiche legate a strategie di sopravvivenza. Qualche volta i suoi esperimenti riescono male e non riesce a controllarli: è così che nascono depressione e follia, che sfuggono all’appiattimento biochimico e all’istinto cellulare di sopravvivenza. Sfuggono all’equilibrio.
Quello che ne esce è sconvolgente; però non avrebbe senso nemmeno questo equilibrio chimico se non servisse a qualcosa o a qualcuno (Dio, è sempre lui l’equilibratore?). E allora mi chiedo se è in questi stati di squilibrio biochimico che l’uomo è veramente libero e scappa al suo controllore. Anche tutti gli altri esseri viventi sono il frutto di strategie di cellule intelligenti; un’intelligenza libera e vera, sicuramente superiore alla nostra.
Ogni emozione o azione fuori da schemi prestabiliti non è utile alla sopravvivenza del “chimico”. E’ per questo che giudichiamo anormali i comportamenti fuori da quelli che consideriamo logici? Non sono chimicamente accettabili e controllabili? Certo che è terribile pensare che anche le nostre emozioni siano solo il frutto di alchimie chimiche; di computer umani programmati per la riproduzione e la sopravvivenza di qualcuno, o qualcosa che ci adopera. Se è così, l’uomo avrà di fronte nei prossimi anni uno sconvolgimento senza precedenti, riuscire veramente a essere libero da condizionamenti; forse si scoprirà la natura vera di Dio, quello che controlla, che ha ordinato la nostra e le altre chimiche celebrali. E sarà un Dio molto, ma molto lontano da come l’immaginiamo e ci siamo costruiti per elevarci.
La nostra vita, tutte le vite non possono essere casuali, qualsiasi essere animale e vegetale fa sempre azioni e strategie di sopravvivenza: non può essere solo adattamento. Cellule diverse, di un’intelligenza per noi incomprensibile, cellule che ci usano, si assemblano, si adattano e ci adattano ai loro bisogni.
Se sarà provato, nasceranno nuove religioni, nuove correnti di pensiero, nuove filosofie, nuovi stili di vita, si capiranno meglio le strategie di sopravvivenza di ciascuno e verranno spazzate via come primordiali tutte le attuali tesi sociologiche; la letteratura, la pittura, le conquiste scientifiche, tutta chimica che ogni tanto si confonde e sfugge di mano, o forse cerca nuove strade per la conservazione e l’evoluzione di altre forme di vita.
Villaggi, città, capitalismo, socialismo, tutto per appagare bisogni cellulari, strategie di cellule chimiche unite che si stanno preparando a nuove sfide future. E mi fermo qui, non voglio continuare a stuzzicarmi la fantasia.
L’uomo probabilmente dovrà percorrere strade “non umane” per liberarsi dei suoi controllori, se vorrà conoscere i misteri dell’infinito e dell’eternità e riempire quel vuoto della mente, quelle vertigini che sempre si presentano quando pensiamo a queste cose. Dovremo affidarci ad un’intelligenza diversa, non chimica ma artificiale, non controllata o manipolabile. Del resto l’uomo è, probabilmente, il primo animale che si pone questi problemi.
Ma chi è veramente l’alchimista? Montanelli, intervistato nel libro dalla giornalista Serena Zoli per essere guarito da una grave e lunga depressione in pochi giorni, dopo aver preso delle pillole, disse: ”Si, rimane lo sconcerto al pensiero che questa nostra vita interiore possa dipendere da sostanze chimiche. Forse siamo all’alba di una rivoluzione. O di una involuzione. Che cosa siamo diventati? Animaletti persi in una scheggia dell’universo. Niente gira più intorno a noi”.
Io mi sono solo spinto più in là, ho ipotizzato che siamo controllati e programmati, al servizio stupido e inconsapevole di altri. Forse presto cominceremo ad indirizzarci verso i grandi misteri che migliaia di generazioni di umani hanno cercato di capire. Perché la nostra mente è vuota e smarrita quando pensiamo all’infinito e all’eternità? Perché abbiamo questo vuoto inspiegabile?
Come ho già fatto in altre parti del libro in questa parte lascerò veramente libera la mente di vagare dove vuole, senza controllare e far controllare il mio pensiero dall’alchimista. Almeno così penso.
Sono andato al cinema recentemente, ma la solitudine mi prendeva lo stesso e non volevo vivere come un cane, abbandonato da sogni e fantasia. Del resto l’alchimista mi vede e forse non riuscendo a dettare il mio pensiero cerca di controllarmi la tastiera. Non è solo il nero che vedo, ma sogni statici che “s’inforchettano” dormienti e sazi in uno spazio stanco e affusolato. Come mai i sogni e le fantasie non mi portano ad incontrare quello che non vediamo mai, ma che c’è e si vede ogni tanto quando qualche cosa che crediamo irrazionale si affaccia alla mente? E come mai non sorrido se il pensiero gronda di fantasia spenta e ottusa? Ma la pazzia si affaccia come un morto che vaga spento in un sonno della ragione. Come mai non mi spaventa questo vagare libero e senza senso apparente? Sono visibile solo a spazi determinati o posso essere visto oltre quello che non si vede? Non voglio stimolare questi pensieri troppo liberi che forse mi prenderebbero la mano e mi porterebbero lontano in un mondo irrazionale, libero e non controllato, ma che potrebbe apparire solo troppo fantasioso e malato di protagonismo, pensieri poco utili alla riproduzione essenziale di chi ci sta a guardare.
Ora se mi osservo attentamente o superficialmente, non trovo nessuna differenza e se rifletto su qualcosa che giudico profondo ed essenziale, m’imbatto in un mondo spento o colorato a seconda di come voglio vederlo.
Lasciami libero di vagare in spazi infiniti, fantasiosi che mi portano lontano in una situazione paradossale che non si vede ma che ti accompagna sempre….
Strana questa razionalità che t’imbottiglia in pensieri programmati e schematici e ti osserva, con occhio timoroso e sfiduciato, da questo tuo tentativo di libertà assoluta che ti porta a navigare in spazi e mondi dominati dal niente, che libera l’energia e la fantasia.
Non libererò il pensiero troppo libero: mi porterebbe all’assoluto che non vuole essere osservato troppo da vicino.
Poesia libera
Piccola storia mia
di sogni, stravaganze e utopie
Quando mai il sogno è vivo?
Mi strapperò di dosso la vita rabbiosa
che mi afferra come un vento freddo.
Sempre
La tensione scatta all’improvviso
è umida di sudore puzzolente
Ma i sogni possono rimuovere le speranze
sarebbe meglio legarli
a concetti che evitano l’irreale
a realtà che puoi controllare
e per non ripetere sempre le delusioni.
Ma cosa lascia il mio tempo sognato?
Niente
Solo qualche segno smarrito
in gesti conosciuti
che verranno utilizzati
che già sono stati utilizzati
Nel passato
Io mi racconto come un cantastorie
che non ha vissuto grandi storie
che trasmette solo angosce esistenziali
Vai via, vai via peso pesante, peso leggero
Via, via quadri sognati e quadri esorcizzati.
Le sberle della vita al tramonto fanno più male
Pier Giorgio è morto; l’incontravo casualmente ogni tanto, lui era consigliere di Rifondazione Comunista al Comune di Bologna, lo conoscevo superficialmente e non avevo con lui molta confidenza.
Quando feci la mostra a Palazzo d’Accursio, nel 1995, attraversò diverse volte il corridoio dove avevo esposte le mie opere senza mai fermarsi. Ci rimasi molto male.
Facevo opere a contenuto sociale e ambientale e questi, che dovevano essere le persone più interessate, non si fermavano mai.
Con Soriani dei Verdi, che conoscevo bene, alla prima occasione gliene dissi di tutti i colori; gli dissi che si riempivano la bocca d’ambientalismo, ma questa insensibilità verso l’arte, soprattutto quella che parlava d’ecologia, dimostrava in realtà un cuore arido. Con Pier Giorgio avrei fatto la stessa cosa se l’avessi incontrato dopo la mostra.
Quando ho letto sul giornale che era morto per una grave malattia che aveva già da dieci anni, mi sono sentito meschino; probabilmente lui era sempre così serio, perché già allora combatteva la terribile malattia che gli provocava tanta sofferenza.
Mi sono accorto che giudicare una persona che non conosci a fondo è sbagliato.
Amarezze della mente che si ferma un attimo a pensare
all’esistenza che passa
comincia a fare dei bilanci su quel corpo che l’accompagna
e sale la tristezza e la depressione
prima lo pensi poi il corpo segue.
Se il corpo e la mente non si uniscono
com’è sola la vita
cos’è la mia vita?
tutto e niente a secondo dell’umore
e in questo momento è molto basso
L’equilibrio chimico si è spezzato
e chissà se per vicende o altro
c’è chi si sente realizzato con niente
e chi non lo è anche se ha in mano il mondo.
Io m’accontenterei di non domandarmi.
Grande Chimico donami un po’ di tranquillità
non accompagnata dalla sofferenza.
21 aprile 2002
Questa domenica mattina di metà aprile sono molto depresso.
Penso all’inutilità delle migliaia di opere di pittura e scultura che ho fatto e che credevo potessero cambiare il mondo. O, forse, è anche dovuto al cattivo tempo che ormai ci accompagna da dieci giorni.
Qui davanti ho la pagina piegata del Resto del Carlino con la foto di Don Antonio; penso che gli farò un ritratto o dedicherò una scultura.
Penso complessivamente alla mia vita, all’inutile grande impegno che ho messo nello svolgere il mio lavoro di responsabile della qualità, per cercare di fare un prodotto il più perfetto possibile. Se la nostra azienda è in quello stato ci saranno anche delle mie responsabilità, forse non dovevo piegarmi alle imposizioni dei miei superiori di accettare merce non perfetta, ma ci sono sempre le esigenze di fatturazione.
Poi il mio pensiero va all’esistenza; io voglio sapere perché sto vivendo, non mi accontento di vaga appartenenza a creatura del Signore e di un ipotetico eterno paradiso.
Forse sarebbe meglio se riscoprissimo la nostra animalità, farci guidare di più dagli istinti primordiali, quegli impulsi naturali per cui la sopravvivenza era il valore assoluto; col tempo, con la nostra “intelligenza” abbiamo smarrito i valori veri della vita.
Il sapere di appartenere alla terra, all’acqua, alla luce, al Dio meraviglioso dei nostri antenati primitivi che dovevano sentirsi parte della natura, che permetteva anche a loro di sentirsi Dei.
Abbiamo reazioni istintive, cambiamenti d’umore senza più saperne le ragioni: logiche lontane, primordiali, di sopravvivenza, di fame, di sesso, di pericolo ecc… Maledetta storia che passa e che crea memoria culturale, che lascia segni profondi e ricordi di generazione in generazione e si stratifica allontanandoci sempre di più dalla MADRE TERRA.
La grande fortuna della psicanalisi starà proprio qui, nello scoprire le ragioni del nostro malessere sociale e rapportarle all’uomo primordiale, istintivo e animalesco. Forse un aborigeno di una tribù non ancora civilizzata sarebbe in grado di scoprire meglio di uno psicanalista le ragioni del malessere che in tanti ci attanaglia. Siamo contaminati dalla nostra falsa cultura che ha smarrito LE RAGIONI DELL’ISTINTO. Vorrei lavarmi il meno possibile, l’antico lo faceva poco o niente, vorrei far l’amore con una donna che mi piace appena l’incontro, se tra noi scatta l’attrazione istintiva. Vorrei mangiare quando ho fame e non quando la società me lo impone, vorrei aver educato i miei figli all’onore e alla lealtà, alla caccia per mangiare e far loro rispettare gli altri animali come noi stessi.
A Floriana, supersfruttata dalla società e anche dalla sua famiglia, obbligata a tanti ruoli, non più solo quelli naturali di mamma e compagna, porterei le rose canine che in montagna fioriscono a fine maggio. E invece siamo qui, chiusi in questa scatola a mortificare i nostri veri bisogni, a non capire più neppure i nostri istinti primordiali che ci portiamo ancora dentro. Forse un domani nasceranno gli archeologi degli istinti, indagheranno come si sono costruite nell’evolversi dello sviluppo umano le barriere tra noi e la natura. Facciamo scelte o non scelte tutti i giorni senza nemmeno sapere il perché. Scelte legate a istinti lontani e smarriti.
Gli animali avranno i loro avvocati, saranno anche loro animali; animalumani. Per fortuna gli esseri umani a loro volta si disumanizzeranno e si animalizeranno, L’uomo sarà più felice, non dovrà più sforzarsi di somigliare a Dio senza averne la possibilità. Sarà questa la vera sfida per il prossimo futuro, saper diventare animali tra gli altri animali.
Nei ricordi della vita affiorano solo le cose più eclatanti, quelle che escono dal tran tran di tutti i giorni, ma la vita vera è proprio quella che non si ricorda, giorni e anni che non ricordiamo, che forse non vale la pena di ricordare, a cui dedichiamo attimi del nostro pensiero. Forse è proprio in quello che non si ricorda l’essenza della vita.
Mi prende sempre più spesso la malinconia, la consapevolezza di una vita vissuta che passa senza saperne la ragione. Don Antonio, parlando al funerale del padre di mio cognato, diceva, davanti alla sua bara, che è in uomini semplici, in vite semplici come quella che l’uomo trova tutta la sua grandezza e il senso della vita. Ma Don Antonio era troppo intelligente per essere capito.
In questo momento sono così demotivato e depresso che prenderei tutte le mie opere e le brucerei, sento che all’arte ho dedicato tanto senza poi aver molto in cambio.
Avevo una visione salvifica dell’arte, invece non influisce minimamente. L’uomo segue sempre i suoi istinti e tutto ciò che fa, lo fa per soddisfarli: e alloro perché dipingo e scolpisco in continuazione, anche quando non ne ho voglia? Forse anche questo è un modo per immortalarsi, per appagare i tuoi geni (la cellula) che vogliono sopravvivere. Ho una rabbia in corpo che non riesco a sfogare, e senza sapere qual è la ragione vera. Forse, sono preoccupato per il lavoro, ho fatto bene a farmi mettere in mobilità? Riuscirò a trovare un nuovo equilibrio per dipingere e scolpire o andrò verso una nuova terribile esaurimento depressione.
Dal punto di vista economico l’arte non mi ha dato niente nonostante io sia abbastanza conosciuto. Anzi, ho sottratto risorse alla mia famiglia e comincio a pensare che forse non è stato giusto. Del resto non mi va proprio di mettermi con qualcuno a discutere di soldi per un dipinto, e poi non sono tanti quelli che me li vogliono comprare.
A volte mi piacerebbe che questa mia vita cessasse improvvisamente, così senza preavviso e senza l’onere di lasciar tracce.
L’altra sera, quando stavo male e non lo facevo notare a nessuno, pensavo al dispiacere che avrei dato ai miei cari che in fondo mi vogliono molto bene, ma forse pensarlo mi gratifica.
Forse la nostra società è la stessa di duemila anni fa, non ha fatto nessun progresso, perché gli uomini sono sempre uguali. Cosa sono i lavoratori odierni ed i poveri, se non servi della gleba? Come gli antichi romani avevano i loro, ed erano la maggioranza della popolazione, noi salariati siamo come loro. Quanta violenza c’è in un luogo di lavoro se possono umiliarti e decidere di sbatterti fuori quando e come vogliono? Se la mia intelligenza, la mia fatica, è al servizio di poche persone che non sanno nemmeno chi sono e guadagnano su di me?
Quando la nostra intelligenza ci libererà dell’istinto del dominatore e del gregario? Forse è sempre tutto funzionale ai bisogni della cellula primordiale.
Il tentativo fatto in Unione Sovietica è stato il più grande della storia: cercare di liberare l’uomo dai suoi istinti primordiali, ma è fallito. Forse è stato fatto troppo presto, probabilmente, finchè saremo solo uomini i nostri istinti prevarranno. Chissà se le macchine intelligenti, che non hanno istinto, potranno darci una mano a capirci e a capire? Riusciranno a liberare l’intelligenza dall’istinto?
Ne sono sicuro, fra qualche secolo saremo sulle stelle. Io ci sarò se il mio sangue si sarà rigenerato in altre vite successive. Useremo la luce come mezzo di trasporto, humus chimico trasportato dalla luce che si ricomporrà in vita una volta arrivato a destinazione. Andremo a fare dei “casini” anche in altre parti dell’universo?
L’altra sera è venuta a casa mia, una troupe di Sciuscià, la trasmissione condotta da Michele Santoro. Io e mio figlio abbiamo partecipato al Movimento Cunegonda: Cunegonda è il nome che Umberto Eco ha dato ad una pasta immaginaria che dovrebbe sostituire negli acquisti degli italiani la pasta maggiormente pubblicizzata sulle reti Mediaset. Lo scopo è quello di sensibilizzare le persone verso un consumo responsabile. Scriveva Eco che se consideriamo Berlusconi un pericolo per la democrazia per il monopolio che ha sull’informazione e sul potere economico e politico, l’unica strada è quella di depennare dagli acquisti le merci maggiormente pubblicizzate sulle reti Mediaset; un’idea geniale se vuoi opporti a questo. Mio figlio mi ha coinvolto nell’iniziativa, che anch’io considero importante. La troupe composta da tre persone, tra cui il giornalista Fermigli, ci ha ripreso per più di un’ora e mezza e ha fatto domande per tutto il tempo. Ne è scaturito un servizio in cui Lorenzo, Elisa ed io, abbiamo cercato di spiegare le ragioni di Cunegonda ed i meccanismi degenerativi del consumismo che possono creare “un mostro” come Berlusconi, che alla fine è solo il rappresentante di un’ideologia, il consumismo, che è per sé stessa totalizzante. Abbiamo cercato di mantenere un dibattito alto, senza scendere nella banalità dell’attacco personale a Berlusconi.
Floriana non ha voluto partecipare, perché da sempre pensa che i giornalisti siano persone che stravolgono il pensiero altrui e aggiustano ciò che si dice nella maniera che fa più comodo loro. Purtroppo aveva ragione, quando ieri sera abbiamo visto Sciuscià ci sono cadute le palle.
Il servizio è durato pochi secondi, hanno fatto vedere alcune mie opere tra cui “Il succhiatore di cervelli” del 1985.
Quest’opera descrive un omone immaginario, vestito con spot pubblicitari che succhia con una cannuccia il cervello di un altro omino che si specchia, vestito con abiti firmati. Tutto ciò senza il mio commento sull’opera, che ritenevo significativa, perché volevo sottolineare che il fenomeno esiste già da tanto tempo, prima dell’avvento di Berlusconi e che solo la nostra classe politica, i nostri intellettuali, non si sono accorti di niente e hanno permesso un fenomeno degenerativo come quello che stiamo vivendo.
Hanno fatto poi una piccola ripresa su Lorenzo che parlava dell’irrealtà delle bellissime ragazze che facevano vedere in televisione. Ad Elisa hanno solo fatto dire che riteneva non normale il controllo dell’informazione da parte di un uomo che controlla l’informazione, l’economia e la politica.
Io sono stato ripreso in un altro piccolo frammento, in cui dico, per sdrammatizzare, che domenica ero andato a vedere una partita di calcio in cui giocava mio nipote e che nell’intervallo ero andato nel baretto nei pressi del campo sportivo a prendermi un gelato, un Magnum e, dopo averlo mangiato, tirando fuori la lista Cunegonda mi sono accorto che c’era anche questo prodotto. Tutto qui. Gasparri, ministro della comunicazione, mi ha citato per l’inutilità del boicottaggio (alla rovescio di quello che volevamo esprimere, per l’estrapolazione da un contesto) e Oliviero Bea, chiamandomi “il mangiatore di Magnum”, mi ha citato a sproposito.
Tutti quanti ci siamo rimasti male, mio figlio è uscito incazzato, io ero furioso perché avevano banalizzato in poche battute tutto ciò che avevo detto, facendomi passare per un filo-berlusconiano (sic).
Infatti la mattina seguente quando sono andato a comprare il giornale, l’edicolante mi ha detto subito :- “Da lei non me lo sarei mai aspettato, è stato citato da Gasparri”. E lo ha ribadito due o tre volte. Mi sono incazzato, è arrivato Busi a comprare il giornale e mi ha guardato con un sorriso ironico. Alla giornalaia ho detto di smetterla, che altrimenti m’incazzavo sul serio, che avevano stravolto tutto quello che avevo detto. Che tristezza, in pochi minuti hanno dato a tutte le persone che ci conoscono un’immagine completamente diversa della mia famiglia.
Questa mattina di buon ora ho portato Ralf a passeggiare e come al solito, pisciando alza la zampa, delimitando il suo territorio. Mentre eseguiva questa incombenza, ha visto da lontano un enorme alano. Per la sorpresa, e le dimensioni dell’alano, è rimasto con la zampa alzata come se fosse paralizzato, per dieci minuti, non staccando mai gli occhi da quell’enorme cane.
Il mistero della ghianda
E’ primavera, quando alla sera porto Ralf a fare la solita passeggiata serale, costeggio le siepi e guardo in mezzo alla terra rimossa per vedere se sono nate nuove piantine. L’altra sera sono rimasto meravigliato: nel parco Luis Armstrong proprio di fronte a casa mia ho visto una piantina di quercia appena nata, c’era ancora attaccata la ghianda. Mi sono guardato intorno, in tutto il parco non c’è una quercia ed è circondato da edifici. L’ho presa, portata a casa e piantata in un vaso. Ma com’era finita lì? Ho chiesto anche l’opinione di mia moglie e dei miei figli, ma nessuno mi ha saputo dare una risposta convincente.
Forse sarà stato qualche uccello, o qualche bambino che ha raccolto la ghianda chissà dove, ma perché l’avrebbe poi nascosta sotto la siepe di fronte a casa mia?
Mia moglie dice che a un chilometro di distanza di querce ce ne sono parecchie, ma come ha fatto ad arrivare fin li? Ci sono anche diverse strade asfaltate da attraversare. Io penso che di notte le ghiande camminino e vadano a cercare qualcuno che riesce ancora a sognare: cercano il loro gnomo.
Vorrei andarmene con gli occhi umidi di lacrime e accompagnato da una nenia dolce e struggente che mi riconcili con la natura e l’Infinito che non mi ha voluto svelare il suo segreto. Mi piacerebbe ritrovare i miei cari, i miei antenati. Darei loro la mia mano da stringere per non farmi spaventare dal “nulla”. Formeremmo una catena di uomini e donne che ci riporterà fino ai primordi della vita, una catena che abbraccerà tutto e tutti. Con l’altra mano aperta aspetterò quelli che verranno, per non farli sentire soli nel grande momento. L’uomo è terrorizzato dalla morte perché non riesce ad immaginarsi cosa ci sia oltre; vede il vuoto, pensa al vuoto; è questo che ci terrorizza. Io mi immagino tutt’uno lo spazio e il tempo infinito. Vedo un uomo che cammina obbligatoriamente sopra una strada circolare, riesce a vedere solo un po’ davanti e dietro, sopra e sotto, il limite è l’orizzonte dei suoi occhi e del suo cervello. Camminando crede di consumare lo spazio e il tempo; in realtà torna sempre nello stesso punto-tempo e consuma sola la percezione della sua realtà. E lui che è mentalmente e fisicamente predisposto a riempire il nulla, la morte spaventa perché nel momento che ci pensiamo riusciamo a visualizzare il nulla dello spazio-tempo senza riuscire a concepirlo col cervello.
A volte troviamo inspiegabili i comportamenti delle persone. Credo che spesso siano dettati da pensieri fobici e irrazionali che non vengono esternati per paura di apparire anormali o strani. Forse se imparassimo ad ascoltare senza giudicare, a considerare la mente libera di spaziare dove vuole, senza limiti culturali e sociali, ridurremmo drasticamente le malattie mentali che si cronicizzano e ingigantiscono proprio perché consideriamo anomali i nostri pensieri che ci fanno paura: temiamo che anche gli altri li giudichino così. La mente è un grande spazio libero, condizionato solo dagli istinti primordiali. Non dobbiamo averne paura.
La notte insonne mi dice che forse sto vivendo in paradiso convinto di vivere all’inferno. L’altra notte ero all’inferno convinto di essere in paradiso.
Una mia opera di tanti anni fa rappresentava delle margherite di notte che appena s’intravedono, l’intitolai “Le margherite di notte diventano mostri”.
Sono sempre più convinto che le religioni del futuro ricalcheranno quelle antiche, le cosiddette religioni pagane.
Il rispetto e l’elevazione della natura a livello divino sarà una necessità assoluta per l’uomo se vorrà sopravvivere ai suoi disastri. San Francesco diventerà un riferimento per tutto il mondo, e alcuni dei degli antichi si risveglieranno dal loro oblio millenario.
L’altra sera eravamo a Ponte della Venturina e ho mangiato una mazza di tamburo, un fungo molto grande e buono che impanato e fritto, è proprio una squisitezza. L’ho mangiata alla sera e per tutta la notte sono stato come in dormiveglia, non riuscivo a capire se ero sveglio o dormivo.
Verso l’alba ho avuto degli incubi, come delle allucinazioni. Vedevo ad occhi chiusi e al buio strani oggetti che si muovevano e trasformavano in continuazione. Il sogno-incubo era coloratissimo; colori talmente belli, vivaci e luminosi che mi sarebbe piaciuto riprodurli sulla tela. Mi ricordo che tagliavo un albero ed ai pezzi di legno, mentre si staccavano dalla pianta, spuntavano le gambe e scappavano per non essere colpiti.
Ad un certo punto mi sono spaventato e alzato. Il malessere per quello che avevo visto mi è durato tutto il giorno. Chissà se le mazze di tamburo in determinate circostanze sono un po’ allucinogene.
L’altra mattina ho sentito il giornalista La Porta che parlava di cultura dell’anima, un argomento “leggero” per chi alle 6,30 sta andando al lavoro.
Diceva che adesso pratichiamo una cultura del “fuori”, di ricercare l’anima nella natura e negli oggetti e che la loro anima è quella che noi guardiamo.
Io penso che le piante e gli animali l’anima l’abbiano indipendentemente da come li guardiamo e sentiamo noi. Che grande presunzione. Smettiamola di considerarci sempre degli esseri superiori che danno l’anima anche agli altri esseri viventi. Facciamo una grande operazione di umiltà e modestia: solo così l’uomo tornerà ad essere luce nella luce, aria nell’aria e natura nella natura. Tornerà a rimpastarsi di creato.
Dice giustamente La Porta di ritornare alla cultura dell’anima: sì, dico io, ma degli altri esseri viventi. Che non sia questa l’espiazione, la punizione più grande, non capire più chi siamo e aver perso la capacità di rapportarci alla pari con gli altri “viventi” e aver smarrito il senso della nostra istintiva bestialità?
Non vivi senza sogni. Io sogno in continuazione, ma di sogni non ne ho mai realizzato uno… ma forse non è importante realizzarli, bensì farli.
Tutti i giorni, dopo aver mangiato abbondantemente, mi riprometto di mettermi a dieta.
Stato Depressivo
La depressione mi prende all’improvviso, proprio venerdì sera, nell’Aula Magna dell’Università: ci sono andato per sentire Cofferati; tempo prima gli avevo fatto un ritratto che gli donerò in questa occasione. Mi sento poco gratificato anche se il ritratto è molto somigliante, da ciò capisco che sto per entrare in un periodo di depressione. Cofferati entra tra gli applausi di migliaia di persone.
Il Senatore Vitali mi chiede di salire sul palco per donargli il ritratto.
Cofferati mi ringrazia mentre Vitali elogia le mie qualità artistiche. Dovrei essere molto soddisfatto, ma il disagio rimane. Vado a casa e cerco di dormire, la mattina seguente andremo a Casa Moschini.
La notte è insonne come tutte le ultime. Mi sembra di essere in uno stato di dormiveglia permanente, in quello stato dove il pensiero è libero da condizionamenti, vaga senza nessuna logica apparente e tutto si confonde tra passato, presente, futuro e irrazionalità.
Morti che mi sorridono e mettono in guardia su situazioni che quando sono sveglio mi fanno sorridere, paure immotivate che affiorano dai meandri della memoria. In questo stato i sogni e i pensieri si confondono e intrecciano; ti mettono in una situazione di disagio che t’impedisce di riposare.
Alla mattina sono stanchissimo.
E’ sabato, vado a comprare il giornale dopo aver preso il solito caffè con metà vasetto di yogurt e tre biscotti dietetici: è l’unica dieta che faccio per tenere bassi gli zuccheri che sono risultati alti nelle ultimi analisi del sangue.
Sfoglio il giornale per vedere se parla di Cofferati e del ritratto che gli ho donato. Solo Repubblica mi menziona però sbagliando il cognome.
Sono ancora tutti a letto, si alza Floriana e sondo la sua voglia d’andare a Casa Moschini; l’ansia mi aumenta nell’attesa della risposta. Per fortuna anche lei mi fa capire che non ne ha molta voglia, così anch’io mi “faccio convincere” a non andarci.
Vado giù in cantina per provare a far qualcosa.
Comincio a dipingere un piccolo paesaggio, lo faccio controvoglia e l’ansia si tramuta in angoscia. La tensione nervosa è al massimo e come al solito cerco di scaricarla immaginandomi di essere protagonista di scene violente che però in alcuni momenti m’inquietano; sono però abbastanza efficaci nello scaricarmi.
Cerco di capire le ragioni di questo disagio che mi è arrivato all’improvviso, che mi fa stare così male.
Abbandono il quadro che stavo facendo e che questa volta non mi dà nessuna soddisfazione e vado in studio per controllare se tutto è a posto.
Nel percorso dalla cantina allo studio cerco di raccogliere i miei pensieri per capire le ragioni di questa sofferenza apparentemente inspiegabile. In questo momento tutto mi appare negativo; quello che ho fatto e realizzato è inutile; il presente appare stupido e il futuro minaccioso e negativo in tutti i suoi aspetti: anche la mobilità che consideravo una grande opportunità per il mio futuro d’artista. La depressione è una grande paura irrazionale che ti mette in una posizione di debolezza verso tutto e tutti.
Ieri sera sono andato a vedere il film di Stefano Accorsi su Dino Campana, con mio figlio Lorenzo e mio nipote Luca.
E’ molto bello e intenso ed Accorsi è straordinario nella parte di Campana.
Io nel 2001 feci una mostra proprio su Dino Campana.
Nel film ci sono alcune scene che ricordano straordinariamente i miei quadri, ne ho avuto la conferma quando anche Lorenzo ha pensato la stessa cosa. Sembra quasi che Michele Placido abbia visto i miei quadri, ma non credo… Anche lui, come me, è entrato in sintonia con Campana.
Lorenzo fino a 23 anni non era mai venuto al cinema con me, tranne da bambino. Ieri sera ho capito veramente cosa lega un padre ad un figlio: non è solo l’affetto, ma una trasmissione di emozioni difficili da descrivere.
Scrutavo Lorenzo mentre attento guardava il film e mi sono accorto di quanto siamo simili: captavo le sue emozioni e i suoi sentimenti come fossero i miei. Pensieri ed emozioni complesse, tanto personali e interiorizzate che solo un legame così forte come quello tra padre e figlio in quel momento in sintonia possono avere. E’ forse questa la parte più importante che un genitore lascia in eredità ai figli, la trasmissione delle emozioni e dei gesti senza averne la consapevolezza. Di generazione in generazione.
Mio fratello Antonio, il più anziano di nove fratelli, a volte mi commuove per le sue capacità di narrare.
Dopo aver girato l’Italia dal nord al sud come maresciallo dei carabinieri, da qualche anno si è stabilito, unico di noi fratelli, dove siamo nati, nel paese d’origine di sua moglie, in provincia di Benevento, a pochi chilometri della nostra Cesine.
Antonio, quando racconta, mi fa entrare in una dimensione fantastica. Lui con gli animali ci parla e comunica.
Sua figlia Grazia alcuni anni fa gli ha regalato una coppia di gattini neri che hanno fatto diverse cucciolate.
L’altro giorno mi ha raccontato che poco tempo fa si è arrabbiato coi due gatti perché non fanno il loro lavoro che è quello di acchiappare i topi, che gli rosicchiano tutto. Ha detto loro con voce arrabbiata:- “Siete solo capaci di venire a mangiare e di topi non ne avete mai presi”. I due gatti sono andati via; mi ha detto che gli sembravano avviliti.
Il giorno dopo è andato in macchina e con stupore ha visto sul sedile a fianco del posto di guida, tre topi morti e il giorno successivo altri due in cortile. Mio fratello si è complimentato con i mici per il lavoro svolto.
Vicino a casa sono passati due cani randagi, lui e la moglie hanno dato loro da mangiare e così gli animali non se ne sono più andati.
I due cani, maschio e femmina, stanno tutto il giorno sulla scala a controllare le persone che passano. Quando mio fratello portava loro da mangiare, la femmina arrivava sempre per prima e si pappava anche la razione dell’altro. Antonio si è arrabbiato e le ha detto: “Tu la devi smettere di mangiarti sempre tutto!”. Al sentire queste parole la cagnetta l’ha guardato, ha interrotto l’abbuffata e con la coda bassa è andata via. Da quel giorno quando devono mangiare, la femmina dà sempre la precedenza al suo compagno, non inizia mai a mangiare se non comincia l’altro.
I cani all’inizio non andavano d’accordo con i gatti, cercavano sempre di evitarsi, ma quando s’incontravano era sempre il finimondo.
Un giorno Antonio si è stancato, ha preso in braccio il gatto ed è andato dalla cagnetta che era sempre quella che iniziava la rissa. Con il gatto si è avvicinato al muso del cane, gli ha fatto una carezza e con voce dolce, ma ferma gli ha detto: ”Vagliò , tu stai nella stessa casa do cane e devi volergli bene e andarci d’accordo, se ci litighi ancora so cazzi”. Poi ha fatto una carezza alla cagnetta ed anche a lei ha detto che erano cazzi se non la smetteva. Antonio mi ha raccontato che da quel giorno non hanno più litigato e che anzi, una volta è arrivato un pastore tedesco gigantesco scappato da un vicino di casa.
Il cane lupo quando ha visto il gatto ha iniziato ad corrergli dietro. La cagnetta si è avventata come una belva contro l’intruso che se l’è data a gambe.
Sembrano racconti un po’ fantastici, ma sono veri; io non mi meraviglio dei racconti di mio fratello; a mia moglie era appena morto il papà ed una sera dallo sconforto si era messa a piangere sommessamente sulla poltrona, io mi sono avvicinato e ho cercato di consolarla e Ralf, il mio bastardino che riposava sul suo sdraio, quando ha sentito mia moglie piangere si è svegliato, l’ha guardata intensamente, si è alzato e avvicinato a Floriana: l’ha guardata per un lungo minuto in silenzio come se si chiedesse cosa avesse e cosa poteva fare per consolarla. Poi è andato con la sua testina sotto alla mano di mia moglie e ha cominciato a leccarla. E’ stato un momento intensissimo e commovente.
Ho inaugurato la mostra alla Casa della Solidarietà Alexander Dubcek.
La mattina dell’inaugurazione dovevo andare in bagno e una volta finito, ho cercato di tirare l’acqua: non trovavo la maniglia o il pulsante da nessuna parte. Ho visto una corda che scendeva dall’alto e, anche se mi sembrava insolito, l’ho tirata sperando che fosse quella giusta: era un allarme che ha cominciato a suonare fortissimo. Sono accorsi decine di persone compreso l’assessore alla Cultura Devani. Non mi ero accorto d’essere andato nel bagno riservato agli handicappati e avevo tirato la corda dell’allarme per eventuali malori o pericolo. Nessuno sapeva come si faceva a fermare, l’allarme ha suonato disperatamente per quasi mezz’ora.
L’Assessore scuoteva la testa dicendomi: “Sei proprio un artista” e non credo fosse un complimento.
Tutti armeggiavano su tutto; anche chiudendo l’interruttore centrale l’allarme non si spegneva. Finalmente è arrivata una persona che ha provato spingendo l’interruttore vicino alla corda che avevo tirato e finalmente, soprattutto per le orecchie delle centinaia di persone presenti, l’allarme si è staccato.
La tragedia del Salvemini (ora Casa della Solidarietà)
Alle nove di questa domenica mattina non c’è nessuno a visitare la mia mostra di pittura e scultura nella Sala dei Gabbiani del Salvemini. Questa sala è chiamata così per i gabbiani in legno che sono stati appesi al soffitto dopo la tragedia: sembrano spiccare il volo verso l’esterno, oltre la grande vetrata colorata che ha sostituito la voragine provocata dall’aereo assassino. Sarà la suggestione, sarà il silenzio che induce alla contemplazione ma mi sembra di sentire le presenze di quei giovani, della loro energia rimasta dentro quest’aula. L’albero che ha cercato di deviare l’aereo ha la cima spezzata e si è anche lui formato come un gabbiano che cerca d’andare verso il cielo. Ho preso una matita e ho cercato di fissare queste emozioni in una poesia.
Casa della Solidarietà
Sono solo questa domenica mattina
a guardare l’angoscioso squarcio
addolcito con vetri dai colori delicati
che non alleviano la violenza del ricordo.
La mia Pietà qui dentro soffre di più
e il Vecchio Angelo sembra interrogarsi.
L’albero con la cima spezzata dall’aereo
ha formato i suoi rami come ali
vuole anche lui esser gabbiano
e volare in cielo coi ragazzi.
In questa stanza di sogni giovani recisi
senti la loro energia rimasta dentro.
Il Vostro tragico destino è d’aiuto a tanta gente
vecchi, giovani, disabili
tanti sogni e utopie da realizzare
Il Vostro sacrificio è diventato
la nostra “Casa della Solidarietà”.
In questi giorni sono stato molto male anche se sto facendo una mostra di presepi da Napoleone. Il malessere e’ cominciato la notte della vigilia di Natale: mi sono alzato per andare in bagno alle tre di notte, ma non riuscivo a stare in piedi, non avevo più l’equilibrio. La mattina successiva stavo meglio, il giorno di Natale è andato abbastanza bene, ma all’alba di Santo Stefano il disturbo si è ripetuto, ma molto più forte: non mi reggevo più sulle gambe. Ho telefonato alla guardia medica è gli ho detto del malore e che avrei fatto un salto in ambulatorio per una visita. Quando sono arrivato mi ha controllato e consigliato di andare all’ospedale perché avevo il cuore che batteva irregolarmente. Sono tornato a casa e mi sono fatto accompagnare da mia moglie, perché io non riuscivo più a guidare. Mi hanno fatto immediatamente l’elettrocardiogramma che ha evidenziato un’extrasistole. Il medico del pronto soccorso mi ha visitato e mi ha riscontrato l’irregolarità del battito, avevo due battiti regolari e uno ritardato, mi ha chiesto se sentivo il cuore in gola: gli ho detto di no, anche se lo sentivo molto forte. Ha disposto un ricovero breve, il tempo per fare le analisi del sangue. Sono stato in ospedale fino a mezzogiorno poi sono stato dimesso con il consiglio di rifare l’elettrocardiogramma entro breve tempo. Dall’esame del sangue non risultava nulla.
Oggi è il primo gennaio del 2003, voglio concludere questi pensieri sfusi facendo una piccola riflessione sull’arte e sulla vita. Ho appena finito di leggere il libro di Sebastiano Vassalli “La notte della cometa”, un libro sulla vita di Dino Campana.
Leggendo il libro ho capito quanto sia stata difficile la vita di Dino Campana. Quali livelli di sofferenza avesse raggiunto, sia per la sua malattia, sia per l’indifferenza che l’arte ufficiale aveva nei suoi riguardi e dell’ostracismo che tutta la società aveva nei confronti di una persona dalla sensibilità diversa.
Tutto dev’essere incanalato e simbolizzato, fuori da questo esiste solo la follia. Ci sono già allora ( ma non ne dubitavo) i soliti piccoli tromboni borghesi (Prezzolini, Soffici, Papini e tanti altri) che vedono in Campana il povero contadinotto di provincia che si è messo in testa di fare il Poeta. Non è neppure tollerato con sufficienza, solo dopo la sua morte, qualcuno si è accorto che forse Campana stava dicendo qualcosa di nuovo e di diverso. Forse l’arte e la poesia vera nascono solo dalla grande sofferenza.
Anche adesso per essere considerato un’artista vero devi frequentare un certo mondo, un piccolo mondo borghese che crede di essere al centro dell’universo e che qualsiasi cosa che venga dal di fuori sia piccola cosa: per questo in questi anni abbiamo un’arte banale e superficiale, senza sangue né sentimento. Ma questi borghesucci non lasceranno niente, anzi lasceranno il loro ridicolo ricordo come hanno fatto Prezzolini, Soffici e Papini nei riguardi di Campana.
Io continuerò, nella mia cantina, a dipingere e a scolpire i miei poveri, i miei esclusi, i miei animaliuomini e piantepersone. Sono sicuro che lascerò una traccia, piccola, molto piccola, ma la lascerò. E poi chissà, quando la cometa di Halley è ripassata nel millenovecentottantasei, oltre che per i poeti non sia passata anche per i pittori. Io lo spero.
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